La commissaria europea gioisce sul social network per il via libera alla legge che assicurerà entro il 2020 la presenza del 40% di donne nei cda aziendali. Ma molti si ribellano: "E se poi siedono lì e sono incompetenti?". Ma, a ben vedere, siamo sicuri che gli uomini siano comunque meglio?
Sembra una Babele e invece è l’account di Twitter di Viviane Reding. La commissaria europea alla Giustizia, il 14 novembre, ha scelto il social network per dare la notizia che le quote rosa europee hanno ottenuto un primo, importante via libera. Ecco il messaggio che Reding ha twittato la bellezza di 23 volte, in altrettante lingue diverse, compreso l’italiano: “È fatta. La Commissione ha adottato una legge europea che assicurerà entro il 2020 la presenza del 40% di donne nei Cda delle imprese”. La proposta, che riguarda circa 5mila aziende quotate nel Vecchio continente, passerà a questo punto al Consiglio e al Parlamento europei, prima che a esprimersi siano i singoli paesi. La nuova versione della legge sulle quote rosa è meno rigida della precedente (che era stata bocciata dalla Commissione), perché concede agli Stati membri dell’Unione europea di derogare a patto che si dimostri che l’obiettivo sul riequilibrio di genere si può raggiungere in altri modi.
L’Italia, ad esempio, si distingue tra i pochi paesi europei che si sono già portati avanti in fatto di parità di opportunità: dallo scorso agosto è diventata operativa la legge Golfo-Mosca, che impone alle società quotate e pubbliche dapprima almeno un quinto e in un secondo momento almeno un terzo di donne nei consigli di amministrazione. Una legge che ha inevitabilmente sollevato un vespaio di critiche, cosa che del resto sta accadendo anche con il provvedimento europeo.
Basta guardare come, su Twitter, è stato accolto il messaggio di Reding. E’ vero che è stato ritwittato, ossia riproposto all’interno del proprio profilo, da 70 utenti del social network, ma è altrettanto vero che le poche risposte al messaggio (limitando l’analisi a quello in italiano) suonano piuttosto critiche. Mauro Miccolis, ad esempio, proprio non sembra riuscire a farsene una ragione, perché prima scrive: “Quindi poiché vi risulta impossibile realizzare un sistema meritocratico preferite affidarvi a quote fisse… Complimenti”. Poi ritorna alla carica così: “Avremo il 40% di incompetenti e raccomandate di sesso femminile nei Cda”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’utente Flischflisch che, in inglese, si domanda: “Che cosa succede se questo 40% sarà meno qualificato rispetto agli uomini?”.
Le critiche sul sistema meritocratico, da cui discendono direttamente quelle legate all’incompetenza e alle raccomandazioni, mi convincono poco, perché è ovvio che si dovrà fare in modo che le donne che andranno a sedersi nei consigli abbiano tutti i requisiti per poterlo fare. Tanto più che la proposta di Reding chiede che le società europee privilegino un uomo a una donna a parità di qualifica.
Il vero tema è che sembra impossibile che, in un momento in cui le donne tendono a laurearsi meglio e in meno tempo degli uomini (lo sostiene una ricerca di Almalaurea), i vertici aziendali continuino a costituire un feudo maschile.
E’ questo il punto da cui bisogna partire per comprendere perché le quote rosa rappresentano una sorta di male minore, di forzatura necessaria a cambiare uno scenario che altrimenti sembra davvero immutabile. E poi, anche nel caso estremo e peggiore in cui nelle aziende finissero per entrare donne non particolarmente competenti e/o figlie di e/o mogli di, siamo tanto sicuri che gli uomini siano comunque meglio? Andate a guardarvi i bilanci di tante società dove manager maschi hanno fatto il bello e il cattivo tempo e poi ne riparliamo.