Si chiude la VII edizione della kermesse cinematografica con l'opera prima (e molto applaudita) dei fratelli Alan e Gabe Polski. La pellicola conclude una 'gara' che può essere definita più matura e coerente rispetto alle altre anche se da Marco Müller ci si aspettava di più
Si chiude oggi la settima edizione del Festival di Roma, che ieri ha visto la presentazione dell’ultimo film in concorso, “The Motel Life”, opera prima dei fratelli Alan e Gabe Polski tratta dal romanzo di Willy Vlautin. Il film è stato tra i più applauditi in competizione: sembra aver convinto la storia di due fratelli, interpretati da Stephen Dorff ed Emile Hirsch, che dopo aver provocato un fatale incidente d’auto iniziano una vita raminga attraverso i motel, che danno appunto il titolo al film.
“The Motel Life” chiude un concorso che può essere definito il migliore, più maturo e più coerente tra i concorsi di queste sette edizioni di festival. Da Marco Müller, però, ci si aspettava di più, perché a conti fatti rimane un concorso debole, composto da “figli di” e da opere minori. Con i pochi mesi che ha avuto a disposizione, Müller ha dimostrato ancora una volta di comprendere a pieno la vera natura di un festival, volendo presentare anteprime mondiali e internazionali, e tuttavia si è trovato a dover scegliere tra gli scarti degli altri festival e operazioni probabilmente a scatola chiusa (la cantonata di Franchi è emblematica, ma ci può stare). Il risultato è comunque un concorso debole e un festival del già visto, privo di opere realmente originali (persino l’applaudito film di Roman Coppola, in definitiva, ricorda costantemente “Somewhere” della sorella Sofia). Il film italiano più notevole (e che probabilmente riceverà qualche riconoscimento), “Alì ha gli occhi azzurri”, è la versione fiction di un documentario dello stesso regista; e gli assi della manica di Müller, ovvero gli orientali, si sono in realtà rivelati dei prodotti minori (in particolare Miike).
Anche i film fuori concorso maggiormente applauditi non hanno dimostrato un briciolo di originalità: andiamo da un omaggio alla commedia americana anni cinquanta (“Populaire”) a un ritorno alle origini (“Mental” di P.J. Hogan) a una vera e propria operazione nostalgia (“Bullet to the Head” di Walter Hill).
Chi vincerà, quindi, il Marc’Aurelio d’Oro questa sera? Difficile a dirsi. Gli Stati Uniti sembrano avere molte chances, ma in questo senso la presidenza di giuria affidata al giovane Jeff Nichols non è certo una garanzia di vittoria. L’America, comunque, può stare relativamente tranquilla: qualche premio, salvo colpi di scena, salterà fuori. Chissà che non arrivi proprio al dramma fraterno dei Polsky?