Politica

Montezemolo in campo per rappresentare la borghesia stufa del berlusconismo

Il presidente della Ferrari punta a rappresentare un bacino elettorale cattolico e assolutamente maggioritario nel Paese che fino ad oggi non ha trovato una bandiera politica solida sotto cui schierare gli antichi valori nazionali (Dio, patria e famiglia) dopo la morte della Dc

Luca Cordero di Montezemolo scende in campo e lancia un’opa pesante sul centro politico nell’ottica di diventare, nella prossima legislatura, l’asse portante di una maggioranza di governo con Mario Monti ancora a palazzo Chigi. E per i prossimi cinque anni. Con la complicità (e non certo in concorrenza) con Casini e Fini, dai quali ieri ha avuto un endorsement di sostanza sul fronte del possibile reincarico a Monti. Il presidente della Ferrari punta a rappresentare la nuova borghesia italiana schifata dal berlusconismo , ma che mai voterà a sinistra. Un bacino elettorale cattolico e assolutamente maggioritario nel Paese che fino ad oggi non ha trovato una bandiera politica solida sotto cui schierare gli antichi valori nazionali (Dio, patria e famiglia) dopo la morte della Dc.

Montezemolo, dunque, come il combattente che porta ad emergere il ventre molle della società civile bianca per traghettare l’Italia “Verso la terza Repubblica” che non potrà (non dovrà) essere lasciata in preda ai populismi che stanno emergendo, ma che trovano importanti riscontri nei sondaggi (Grillo è ora il secondo partito italiano). Eppure, “se non ci sarà una novità sostanziale nell’offerta politica – sono parole del presidente della Ferrari dal palco degli studi De Paolis di Roma – il risultato delle elezioni potrebbe portare alla guida del Paese uno schieramento eterogeneo e confuso, una riedizione di governi i cui ministri scendevano in piazza contro i provvedimenti varati dal loro esecutivo (erano i tempi dell’Ulivo e di Ferrero ministro in piazza contro la finanziaria, ndr), una compagine governativa ostaggio di populismi che rifiutano gli impegni internazionali sottoscritti dal nostro Paese”.

La chiamata alle armi di questa razza borghese in cerca d’autore è risuonata chiara nella convention cattolico-cislina. “Le elezioni del 2013 – sono ancora parole dell’arringa di Montezemolo – saranno l’appuntamento più importante per questo Paese da quelle del ’48. Nessuno potrà chiamarsi fuori. Voltare pagina si può. Nessuna maledizione ci condanna se non saremo noi stesso a volerlo. Mettiamoci al lavoro, mettiamoci insieme, lavoriamo e crediamo nel futuro”. La lista di Riccardi e Montezemolo unisce movimenti cattolici ed esponenti laici. Il cantiere è tenuto sotto stretta osservazione da Palazzo Chigi che per il momento si limita a respingere cortesemente gli inviti. Lo scenario, però, ora è mutato. E qualcuno sostiene che Monti assapori l’idea di un proseguimento dell’esperienza di governo, non più da tecnico,ovviamente, ma comunque senza il passaggio delle urne. Ora, lo sforzo dei cattolici in corsa per il grande centro è quello di costruirgli un contenitore fatto su misura per lui, che ha riportato al Paese l’onore perduto. “Mai più accetteremo di vedere l’Italia derisa e disonorata – ha infatti sottolineato Montezemolo, quasi a rimarcare l’opera svolta da Monti sul fronte della credibilità italiana verso l’estero – per questo scendiamo in campo: basta stare in tribuna, i cittadini e le eccellenze che costituiscono il nerbo della nostra azione abbandonino le tribunale e riportino a giocare in attacco a e vincere”.

Insomma, la sfida è lanciata, le manovre sono iniziate, l’obiettivo è chiaro; strappare a Berlusconi anche quel po’ che gli resta di imprenditoria pensante per spostarlo su un campo che ha radici politiche più antiche e che ha sempre rifuggito gli estremismi di ogni genere.”Siamo qui – contrappunta Montezemolo – perché vogliamo che inizi finalmente un capitolo nuovo della nostra vita civile e democratica, che metta al centro questa Italia, l’Italia che rema. Dobbiamo aprire la strada verso la terza Repubblica”.

Al banchetto, è parso di capire, sono invitati anche Casini e Fini, si vedrà in seguito sotto quale forma, se di alleanza per puntare al nuovo, possibile premio di maggioranza che sarà votato con la prossima legge elettorale (se ci si riuscirà, ovviamente), oppure con qualcosa di più stringente, una lista civica, per esempio, dove far convergere nomi di spessore degli schieramenti centristi in campo. Le tattica comincerà a essere studiata un minuto dopo il varo della nuova legge elettorale. La sostanza politica, tuttavia, pare molto chiara. E il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non ha mancato di scandirla in modo cristallino: “Sentiremo i richiami valoriali e le loro priorità – ha commentato a distanza – ma è evidente che delle convergenze ci sono, quella che salta più agli occhi è che coloro che operano nella società civile, così come fanno gli amici dell’Udc e facciamo noi nella politica, è il fatto che si parta da un dato: dopo il voto serve un governo politico ma con Mario Monti come presidente del Consiglio”.

Il “Monti dopo Monti” evocato da Casini fino alla nausea, dunque, prende sempre più forma. Perché Monti, ha sostenuto ancora l’ex presidente di Confindustria “può fare il lavoro di ricostruzione in Italia e in Europa meglio di chiunque altro. Ammetterlo non è un segno di debolezza, ma un’assunzione di responsabilità”. Montezemolo non ha fretta di conoscere le reali intenzioni del premier, ma intanto ha messo il cappello sulla sua figura di riferimento politico per l’area elettorale che si vuole conquistare. “Non chiediamo al premier di prendere oggi la leadership di questo movimento politico – ecco il passaggio del discorso di Montezemolo – ciò pregiudicherebbe il suo lavoro e davvero non ce lo possiamo permettere. Ci proponiamo di dare fondamento democratico ed elettorale al discorso iniziato dal suo governo perché possa proseguire”. Quel che ci vuole, però, è un “esecutivo di ricostruzione nazionale”. Parole fortemente evocative per l’elettorato a cui punta Montezemolo, come se si uscisse da una guerra ventennale che ha distrutto il tessuto connettivo del Paese lasciando macerie di valori e convinzioni sociali da sempre alla base della più ricca società civile. Mai, in nessun passaggio, Montezemolo ha fatto il nome di Berlusconi, quasi a non volerne legittimare la figura neppure in negativo, ma ha comunque lanciato un allerta: “Già vediamo il riformarsi di alleanze che contengono tutto e il contrario di tutto – ha avvertito il leader di Italiafutura – ma che soprattutto avranno l’effetto di ridare peso e potere di condizionamento alle componenti più ideologiche e populistiche”. Uno scenario che porterebbe al Paese “danni irreparabili”. Per questo Italia Futura scenderà in campo con una lista che vedrà accomunati sotto una stessa bandiera ministri come Riccardi, le Acli e la Cisl. Ma non Montezemolo. Pur spronando l’Italia che lavora e produce a rimboccarsi le maniche e a lanciarsi nella sfida della ricostruzione, lui resterà fuori dal Parlamento. Altrimenti dovrebbe rinunciare ad ogni carica, a partite dalla Ferrari alla presidenza Unicredit, per andare a prendere un misero stipendio parlamentare o, al massimo, da sottosegretario. Meglio rimanere su poltrone più reminerative e fare il capopopolo borgese a distanza di sicurezza. Tanto, c’è Monti.