Ci prendono proprio per cretini. O forse per eterni spettatori del Paese dei campanelli, l’ilare operetta di Lombardo e Ranzato che andò in scena nel ’23 – l’anno seguente alla Marcia su Roma, quando Mussolini ottenne l’approvazione di un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza che, di fatto, consegnava il Parlamento al Partito nazionale fascista; l’anno in cui il sindacato fascista stringeva un patto di ferro con Confindustria.
Le traiettorie dei manganelli sono spassose trovate sceniche dotate di vita propria, non diversamente dalle traiettorie dei candelotti fumogeni: scherzano, rimbalzano, si dividono in tre per danzare in scie di fumo fuori dalle finestre dei palazzi ministeriali.
Ma il bello dell’allestimento del Paese dei Manganelli viene quando entrano in scena i nuclei del Racis, del Ris, e tutti quegli acronimi che predispongono già al riso, come quando qualcuno ti dice: “adesso ti racconto una barzelletta”. Il video esaminato dal Raggruppamento Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri, si legge nella relazione firmata dal generale Enrico Cataldi, “riproduce un impatto su cornice superiore della quarta finestra (a partire dallo spigolo sinistro) sita al quarto piano del ministero, di un solo artifizio lacrimogeno, poi fratturatosi in 3 parti”.
Anche il colpo di pistola sparato a Genova da Placanica su Giuliani fu deviato da un calcinaccio. Senza dimenticare il proiettile che uccise Michele Sandri in un autogrill vicino ad Arezzo, sparato da un agente della Polizia stradale dall’altra parte della corsia. A sua insaputa: l’agente correva e il colpo è partito.
Cosa dobbiamo pensare, ogni volta che ci viene promessa o propinata un’“investigazione scientifica”? Ogni volta che questori e ministri parlano di “tragico errore”, abusando di quell’effetto tormentone ben noto a tutti i comici?
In Grecia, con questa polizia, ci sarebbero state decine di morti. Ieri, nella sua discesa in campo, Montezemolo – riferendosi a Berlusconi – ha detto che tutti abbiamo provato vergogna di essere italiani: evidentemente però non l’ha provata davanti alle immagini di via Arenula. Eppure basterebbe immaginare la stessa scena all’Hôtel de Bourvallais in Place Vendôme, sede del Ministero di giustizia francese, o nell’omologo palazzo londinese di Petty France. Pensare a cosa accadrebbe il giorno dopo. O pensare a quei poliziotti tedeschi che si sono tolti il casco e hanno marciato insieme agli studenti, in testa a un corteo. Finora in Italia la protesta è stata alimentata da ragazzi e ragazze sorridenti dietro geniali trovate simboliche, come i book-bloc; ma cosa accadrebbe se la protesta si dovesse espandere, facendosi più dura? Se la situazione economica spingesse masse di persone disperate a protestare davanti ai palazzi del potere?
Per uscire dall’operetta (quella che meglio si adatta alle tragedie sociali: durante il golpe argentino, mentre i trentamila desaparecidos venivano inghiottiti nel nulla, c’era la fila davanti ai teatri di varietà e ai café-chantant di Buenos Aires) e restare nell’Ue, più che massacrare pensioni e garanzie sociali residue, occorrerebbe riportare le forse dell’ordine in un recinto democratico in cui siano controllabili. Per fortuna, la foto del ragazzino col volto insanguinato ha fatto il giro d’Europa.
Postilla al post:
Non è necessario ragionare per logica binaria: o la famosa foto della polizia tedesca durante la manifestazione di Blockupy a Francoforte, il 24 maggio scorso – cui hanno fatto riferimento tanti lettori del mio post – dice che, come nell’esercito siriano, alcuni soldati hanno disertato e si sono uniti alla rivoluzione, oppure è un fake, una bufala da ridicolizzare. Non credo sia sensato: la foto mostra dei poliziotti che non hanno paura dei manifestanti e che non sono addestrati a considerarli una minaccia a priori. Indossano le divise, tengono i caschi in mano, sono rilassati, persino sorridenti, mentre danno le spalle alla gente, a pochi passi da loro. Perché da noi la polizia è, a priori, in tenuta antisommossa? La polizia tedesca picchia come tutte le polizie, controlla in modo ferreo i percorsi dei cortei, ma, quando ferma le persone, le rilascia a poca distanza, senza caricarle sui cellulari né, tanto meno, tenerle in stato di fermo per ore e magari per tutta la notte. Non perché sia “buona” – nessuna polizia, in qualsiasi paese del mondo, è qualcosa di diverso da un organo repressivo – ma perché, come in qualsiasi paese che voglia dirsi democratico, è tenuta a rispondere a ordini di cui i superiori portano la responsabilità, ordini che sono supposti tenersi nella trasparenza e nella legalità. Non qualcosa che i responsabili possano imputare a una svista, una stortura, una disattenzione, l’errore di un singolo e tutta la stucchevole retorica del “tragico incidente”, così da dar vita a quello scaricabarile che rende tutti impuniti e impunibili. Men che meno è accettabile la presenza fantasmatica di tiratori scelti in un ministero, senza che i responsabili istituzionali – anziché stupirsene con candore, chiedendo perizie dai “risultati appaganti” – la nominino come sospensione dello stato di diritto e agiscano di conseguenza.
Quanto alla Polizia greca, Amnesty International ha ampiamente denunciato le brutalità che ha compiuto contro i manifestanti – tanto per cominciare, usa spray chimici irritanti e granate stordenti – ma il discrimine, a mio avviso è sempre lo stesso: si tratta di ordini e di politiche governative, non di comportamenti dei singoli, di cui deve rispondere il governo. Per quanto brutali, i poliziotti greci hanno un identificativo, benché situato sulla parte posteriore dei caschi; e, soprattutto, il codice penale greco prevede il reato di tortura, per quanto la definizione sia limitata rispetto ai trattati internazionali. Entrambe le cose ancora non si danno, nel Paese dei manganelli.
P.s: Diversi lettori hanno scritto puntualizzando – chi con cortesia, chi con la pretesa di dare lezioni di giornalismo, correttezza, etica e quant’altro, proprio come per la foto dei poliziotti tedeschi – che il ragazzo dal volto insanguinato è spagnolo e non italiano. Vorrei precisare che si tratta di Riccardo Masoch, bellunese, studente di filosofia alla Sapienza, picchiato dalla polizia sul Lungotevere: 12 punti di sutura alla testa e 4 al labbro. Occorrerebbe riflettere non tanto sull’ovvia questione che su internet circola di tutto, e che dunque si è sempre a rischio di equivocare qualcosa, o di prendere per buono qualcosa che invece è volontariamente artefatto o involontariamente fasullo, ma sulla sicumera dei divulgatori della “controbufala”. Perdonate il tono ecumenico (o alla Catalano, per i più vecchi), ma è meglio riflettere insieme che ingaggiare un eterno scontro fra tifoserie avverse.