Il Tribunale di Cagliari riconosce il diritto di effettuare un esame che permette di sapere se gli embrioni sono affetti dalla stessa patologia dei genitori. Non si tratta di eugenetica, ma prevenzione. E' la stessa legge 40 a consentirlo
Una vittoria. Un altro tassello a favore della battaglia che le coppie che ricorrono alla fecondazione assistita combattono per vedere riconosciuti i propri diritti e applicata la legge secondo la normativa vigente.
Per la prima volta da quando è entrata in vigore la legge 40 sulla “procreazione medicalmente assistita”, viene legalmente riconosciuto il diritto di una coppia a procedere con la diagnosi preimpianto. “Nel 2007 il tribunale di Cagliari aveva già autorizzato questo tipo di tecnica nel settore pubblico – spiega Filomena Gallo, avvocato della coppia e segretario dell’associazione Luca Coscioni – Quella sentenza era però rimasta ineseguita e comunque si trattava di un pronunciamento a livello interpretativo della legge 40″. “Quella appena emanata dallo stesso Tribunale – ha precisato la Gallo – è invece la prima sentenza che entra nel merito della questione e impone all’azienda sanitaria locale di eseguire la diagnosi preimpianto”. Il giudice ha infatti stabilito che i centri pubblici italiani specializzati in procreazione medicalmente assistita (Pma) devono offrire la diagnosi preimpianto alle coppie affette da malattie genetiche che la richiedono, come nel caso di questi due coniugi sardi.
Lei malata di talassemia major e lui portatore sano. Il loro calvario è iniziato il primo dicembre 2011 quando si sono visti negare dall’Ospedale microcitemico di Cagliari la possibilità di effettuare una “indagine clinica diagnostica sull’embrione”, la cosiddetta diagnosi preimpianto. Nonostante l’iniziale parere favorevole del Giovanni Monni, responsabile di ostetricia e ginecologia, infatti, la loro richiesta è stata respinta dal responsabile del laboratorio, Renzo Galanello, perché “nei laboratori della clinica non si esegue la diagnosi genetica preimpianto”. Marito e moglie si sono quindi rivolti al tribunale di Cagliari per chiedere di effettuare il test e di trasferire nella donna solo gli embrioni sani o portatori sani. E hanno vinto.
Secondo il giudice Giorgio Latti infatti la richiesta della coppia è assolutamente legittima e ammissibile. Anzi, non accoglierla significherebbe fare una discriminazione tra le donne che portano avanti una gravidanza con la fecondazione assistita e quelle che hanno una gravidanza “naturale”. La diagnosi preimpianto potrebbe infatti essere equiparata all’amniocentesi perché, nel caso delle coppie affette da patologie genetiche, permette di sapere se anche l’embrione ha la stessa malattia dei genitori: la diagnosi preimpianto “al pari delle altre diagnosi parentali rappresenta una normale forma di monitoraggio con finalità conoscitiva della salute dell’embrione”.
La legge 40 stabilisce che “la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso”. Ed è questo il caso secondo il giudice. Infatti, pur vietando la sperimentazione, la legge prevede che vengano effettuati tutti gli interventi necessari a tutela dell’embrione. Inoltre quest’ultima non è assoluta, al contrario, la salute della donna e l’autodeterminazione consapevole prevalgono sull’interesse all’integrità dell’embrione.
Anche la richiesta di trasferire solo gli embrioni sani è legittima perché il trasferimento deve essere realizzato senza pregiudicare la salute della donna. Non si tratta di eugenetica. La stessa legge sancisce che la coppia ha diritto a una informazione completa e consapevole e la diagnosi preimpianto ha proprio lo scopo di consentire questo. Nello stesso modo in cui una donna che porta avanti una gravidanza “naturale” ha 90 giorni di tempo per decidere se abortire e anche più di tre mesi nell’eventualità di anomalie o malformazioni del bambino e quindi nel caso in cui sia in pericolo la salute fisica o psichica della madre.
La sentenza di Cagliari inoltre segna un punto importante a favore dell’equità dell’accesso alle cure. Nell’ordinanza infatti Latti dispone che “qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell’impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione può essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie”.
La Asl di Cagliari si dice pronta a sostenere le spese della coppia sarda per effettuare la diagnosi preimpianto che però non potrà essere fatto nell’ospedale Microcitemico perché sprovvisto di un laboratorio specializzato, così “come le altre strutture pubbliche in Italia”. La Asl garantirà quindi l’assistenza indiretta “sostenendo gli oneri necessari per l’effettuazione degli esami presso un centro specializzato in Italia”.
Nel frattempo una coppia di Torino, affetta da una traslocazione cromosomica bilanciata, che comporta il rischio altissimo di aborto e di malformazioni del feto, ha speso circa 30mila euro per una diagnosi preimpianto presso un centro specializzato dopo che è stata loro negata dall’Asl, e si è ora rivolta al tribunale del capoluogo piemontese per essere rimborsata.