Sette ore di consiglio d’amministrazione, concluse con una drammatica spaccatura. La Sea, la società degli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa, controllata dal comune di Milano, si avvia alla quotazione in Borsa con il voto contrario del socio di minoranza, il fondo pubblico-privato F2i che possiede il 30% delle azioni. E per i risparmiatori c’è puzza di fregatura in arrivo.
Il disperato bisogno di denaro del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, alle prese con i buchi di bilancio ereditati dal predecessore Letizia Moratti, sta spingendo il comune (54,8 per cento delle azioni) e la provincia di Milano, (14,6 per cento) a un’operazione non priva di insidie per i risparmiatori. All’uopo è già pronta una massiccia campagna pubblicitaria: un investimento di 700mila euro, destinato per metà al quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore, bombarderà l’opinione pubblica con i consueti rassicuranti messaggi sulla bontà dell’affare.
Curiosamente le roventi polemiche alimentate dall’opposizione Pdl di palazzo Marino, ma anche da esponenti della maggioranza, come il presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo, hanno avuto come obiettivo la presunta “svendita” di un bene pubblico. Ma la questione è un po’ più complicata, e potrebbe risolversi con un esito opposto: la tosatura del cosiddetto “parco buoi”. L’antica tradizione che vede ciclicamente le tasche dei risparmiatori svuotate dal collocamento di azioni sopravvalutate, stavolta potrebbe vedere protagoniste le istituzioni pubbliche.
L’antefatto comincia nel 2011, subito dopo l’elezione di Pisapia. Dovendo fare cassa, il sindaco decide di mettere all’asta il 30 per cento delle azioni della Sea, con un prezzo base di 385 milioni di euro. La F2i, guidata da Vito Gamberale, è l’unica a presentare un’offerta, di un solo euro superiore alla base d’asta. Gamberale in realtà strapaga la quota, forse perché chiamato a un atto di responsabilità (tra i suoi azionisti ci sono anche banche creditrici del comune di Milano), forse perché punta in prospettiva a conquistare il controllo della Sea. Fatto sta che ne esce con un avviso di garanzia per turbativa d’asta: il sospetto della procura della Repubblica di Milano è che la gara gli sia stata cucita addosso su misura.
Gamberale, a quanto pare, condivide il sospetto dei magistrati: non solo la gara, ma anche la successiva decisione di quotare in Borsa la Sea sembrano fatte contro F2i, e per questo adesso sta scatenando i suoi due consiglieri in Sea, Mauro Maia e Renato Ravasio. Venduto il 30 per cento a F2i a 5,2 euro per azione, dopo che si era scartata la quotazione in Borsa per i prezzi troppo bassi che circolavano al listino di piazza Affari, Pisapia e il presidente della provincia di Milano Guido Podestà hanno messo in cantiere un altro colpaccio. Torna il collocamento in Borsa.
La Provincia si sbarazzerà così del suo 14,6 per cento delle azioni, a un prezzo, secondo le indicazioni delle banche consulenti, compreso tra i 3,2 e i 4,3 euro, per un incasso totale tra i 109 e i 145 milioni di euro. Poi verranno collocate nuove azioni per un incasso tra i 78 e 105 milioni, cioè un aumento di capitale. Normalmente l’aumento di capitale fa affluire le risorse dentro le casse sociali, per finanziare nuovi investimenti e la crescita dell’azienda. Anche nel prospetto di collocamento c’è scritto così. Peccato che in realtà quei soldi serviranno a pagare il dividendo straordinario da 165 milioni che Comune e Provincia hanno deciso di assegnarsi, per fare cassa un altro po’. I cosiddetti investitori istituzionali, cioè le banche e i fondi d’investimento, sanno fare bene i loro affari. Sono pronti a incassare le ricche prebende che un collocamento del genere porta nelle loro casse: Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Morgan Stanley, Unicredit, Bnp Paribas e Deutsche Bank, per il disturbo di far pacificamente transitare fino a 250 milioni dalle tasche dei risparmiatori a quelle degli enti locali, si divideranno fee (come dicono gli esperti) fino a 15 milioni di euro. Però si guarderanno bene dal comprare azioni Sea.
Riunite nella sede di Mediobanca per il consueto esame di coscienza collettivo che precede i collocamenti, solo due finanziarie (Bgpi e Smith & Williamson) si sono dichiarate disposte a pagare le azioni oltre 3,6 euro. Intesa e Unicredit, che pure si sono rese disponibili a ficcare le azioni Sea nelle tasche dei loro clienti anche a 4,3 euro, hanno già fatto sapere che loro non pagherebbero queste azioni oltre 3,2 euro, cioè il prezzo minimo della forchetta che hanno apparecchiato per il mercato. Bnp Paribas si è sforzata, e ha detto che arriverebbe anche a 3,4. Si prepara il seguente scenario. Con Gamberale furente per il collocamento a prezzo troppo basso, che gli fa svalutare il recente investimento a 5,2 euro, e anche per ottimizzare il proprio incasso, Pisapia e Podestà cercheranno di piazzare le azioni a un prezzo quanto più vicino ai 4,3 euro. Ma i migliori nomi della finanza, da Credit Suisse ad Allianz, da Fidelity a Pioneer, da Fideuram a Amber Capital, hanno detto che loro arrivano solo a 3,2.
Quindi le azioni, alzando il prezzo, verranno mollate al cosiddetto retail , i risparmiatori. Che faranno bene a leggersi le 662 pagine del prospetto informativo, dove c’è scritto che Sea rimane sempre un carrozzone municipalizzato, con quasi 5 mila dipendenti, che spende in stipendi oltre metà del fatturato, paga i numerosi sindaci revisori 150 mila euro l’anno (il doppio di Eni ed Enel, tanto per dire). E che sta registrando un calo drammatico dei passeggeri, soprattutto a Malpensa (-18 per cento in cinque anni) da quando Alitalia è scappata. E per questo dal 2008 fa sistematico ricorso alla cassa integrazione. Dire che Pisapia sta svendendo è dunque ingiusto.
Twitter @giorgiomeletti
Da Il Fatto Quotidiano del 17 novembre 2012