Ieri a Ferrara ho ricevuto – anche per i miei articoli apparsi sul «Il Fatto Quotidiano» e su questo blog – il Premio Nazionale Giorgio Bassani destinato ogni due anni da Italia Nostra a uno scrittore/giornalista che si sia distinto per i propri scritti a favore della tutela del patrimonio storico, artistico, naturale, paesaggistico del nostro Paese.
Nella motivazione del Premio Bassani che Italia Nostra mi fa l’onore di conferirmi si legge che i miei articoli e libri «hanno saputo aprire numerosi fronti di discussione e denuncia sui disastri che con troppa frequenza colpiscono il patrimonio nazionale, rifiutando ogni forma di indulgenza e compromesso». È un premio alla radicalità in un paese che detesta la radicalità. Ed è perfettamente in sintonia con l’altissima poesia civile di Bassani, che in suo discorso sul degrado dei Sassi di Matera disse: «ho un obbligo solo, quello di fare il ‘pazzo’. Cioè di dire tutta la verità, a tutti costi».
Il mio impegno civile è partito dal desiderio di contrastare la mistificazione del finto Michelangelo acquistato da Sandro Bondi, un caso simbolo non per i soldi gettati, né tanto meno per l’attribuzione sbagliata: ma per la devastante diseducazione del suo messaggio, che opponeva il culto di un capolavoro (per giunta non tale) alla tutela del patrimonio diffuso. È il modello dominante, per cui la storia dell’arte è diventata un luna park che produce clienti, non uno strumento per educare cittadini.
In questi anni ho cercato di raccontare soprattutto l’agonia delle città italiane: a partire da Firenze, dove vivo, e da Napoli, dove insegno. Città diverse solo in apparenza, ma condannate entrambe: la seconda ad una rovina materiale più evidente, con uno dei patrimoni artistici più importanti del mondo che va letteralmente a pezzi, e l’altra condannata ad una rovina morale, perché ridotta a feticcio turistico alienante, a «macchina da soldi» come teorizza il suo sindaco-format. E se il declino terribile di Venezia (tra torri faraoniche, grandi navi e privatizzazione della città) è il futuro di Firenze, il destino tragico de L’Aquila terremotata rischia di sommare Napoli e Firenze: un grande centro distrutto che nessuno ricostruisce, ma che già si immagina come una sorta di enorme centro commercial-turistico, trasformandosi letteralmente in ciò che molte delle nostre città d’arte sono moralmente, e cioè città senza cittadini.
E non avrei mai immaginato, da studioso del barocco romano, di scrivere pezzi di inchiesta: uno dei quali (quello sul saccheggio della Biblioteca napoletana dei Girolamini, apparso sul Fatto) ha innescato un’inchiesta che ha portato in carcere dodici persone, tra cui un consigliere del ministro per i Beni culturali e braccio destro di Marcello Dell’Utri.
Ma oltre alla sacrosanta denuncia del disastro del patrimonio e del paesaggio italiani, credo che uno storico dell’arte che parla ai cittadini, abbia un altro dovere: provare a dire a cosa serve, davvero, il patrimonio storico e artistico della nazione. Dopo la rivoluzione epocale dell’articolo 9 della Costituzione repubblicana il patrimonio ha cambiato funzione: e la sua nuova funzione non è quella di produrre reddito, ma è la costruzione sostanziale della nuova sovranità, quella dei cittadini. Il patrimonio è come la scuola: è un potentissimo strumento di educazione alla cittadinanza e di innalzamento spirituale.
Leggendo la motivazione del premio, Alessandra Mottola Molfino ha detto che i miei articoli hanno sottoposto a dura e radicale critica anche il Ministero dei Beni Culturali. È vero: in questo drammatico momento il patrimonio artistico italiano va difeso anche dalle deviazioni dei vertici del Mibac.
Pochi giorni prima di sapere che Italia Nostra mi aveva conferito il Premio Bassani ho appreso che il ministro Lorenzo Ornaghi ha chiesto i danni al «Il Fatto quotidiano» e al sottoscritto perché il ministero sarebbe stato diffamato in un mio articolo dello scorso luglio dedicato all’insensata, dannosa e mio parere illegittima mostra del Rinascimento fiorentino a Pechino. È una situazione davvero grottesca: Ornaghi è il più acceso sostenitore dello smantellamento del ministero (vuole, per esempio, conferire Brera ad una fondazione), io sono invece convinto che lo Stato-collettività debba continuare a mantenere per tutti un patrimonio di tutti.
Ma sarebbero le mie argomentate critiche, e non la sua pessima politica, a colpire la tutela pubblica! Certo non si sentono diffamati da me i soprintendenti e i funzionari del Mibac che quotidianamente mi scrivono chiedendomi di aiutarli nella loro battaglia: una battaglia in cui si sentono traditi da vertici ministeriali immemori della loro missione e piegati alla volontà della politica.
Se promuovendo questa intimidazione il ministro Ornaghi ha inteso mettermi un bavaglio, otterrà il risultato esattamente opposto. Non desidero entrare in politica, non desidero alcun incarico nel ministero, non rispondo che alla mia coscienza: desidero continuare a fare per tutta la vita il professore universitario di storia dell’arte. E credo che tra i diritti e i doveri che la Costituzione mi garantisce e mi impone ci sia anche quello di denunciare pubblicamente la rovina delle opere che studio, e di investigarne le cause. Anche quelle che riguardano una burocrazia e una politica che non servono più quella stessa Costituzione. E grazie ad Italia Nostra queste idee da oggi sono un poco più forti.