Rivendico un diritto: prendere e andarmene quando qualcuno cerca di tirarmi a lottare nel fango. Dovrebbero, credo, farlo tutti: quando in televisione si scende in basso, troppo in basso, bisogna alzarsi e andarsene. Punto. Il rispetto di se stessi vale più di dieci minuti in diretta televisiva.
Ieri i telespettatori mattutini di Rai Tre – di un ottimo programma, Agorà, che riesce a mettere insieme qualità e temi popolari – devono essersi alzati male. Hanno assistito a uno spettacolo malinconico: una rissa televisiva tra me e Fabrizio Rondolino (anzi, tra Rondolino e sé medesimo), vagabondo della scena politica italiana passato dalla corte di D’Alema a quella della Santanchè.
Il seggiolino dello studio era ancora freddo sotto le mie chiappe quando mi sono trovato davanti Rondolino, un tizio che, con un’ironia siberiana, ha soprannominato “orfanello” il direttore della Stampa, Mario Calabresi, “colpevole” di avere un padre trucidato in mezzo a una strada. Manco il tempo di sistemare il microfono e prende ad aggredire: “Quelli del Fatto sono l’organo di stampa di Beppe Grillo, cioè di un piccolo dittatorucolo partitocrate”. Per un giornalista e un quotidiano che hanno fatto dell’indipendenza la loro ragione di vita – pagandone il prezzo – è un insulto. Porcoggiuda… sento ancora addosso il tepore di casa e penso: “Potevo starmene con i miei figli invece di alzarmi alle sei e mezzo per mettermi a litigare con un Rondolino”. Ma vabbè, si risponde a domande, critiche e perfino alle falsità e alle offese. Con una premessa: “Non credo – faccio presente – che Rondolino abbia l’autorevolezza per fare questi appunti. Uno che è passato dal centrosinistra alla Santanchè dovrebbe risparmiarsi queste battute di spirito… non è la persona giusta per giudicare l’obiettività di un giornale”. E qui scoppia il finimondo, finisce tutto in vacca. Anzi, nel fango. “La tua biografia è così insignificante che nemmeno la conosco”, tuona il Rondolino furioso. Noi, purtroppo, conosciamo bene la sua. Insomma, io indico fatti, lui insulta. Un rosario di insulti: “Quelli del Fatto sono dei piccoli poliziotti, prova a parlare se riesci a mettere insieme due parole in croce”. Infine sbiella completamente e gli scappa un “cafone”, “sei un ridicolo personaggio”.
Rondolino appare eccitato, molto eccitato, ma non arrabbiato. Non per davvero. Sembra che non aspettasse altro. Non avendo forse molte cose da dire sfodera il suo repertorio per ottenere, chissà, altri inviti come animatore dei programmi della nostra tv: un urlatore serve sempre. Come il teatro dei pupi, ogni maschera ha il suo ruolo da difendere: Pulcinella, Arlecchino, Rondolino.
Il suo costume potrebbe essere un po’ rosso e un po’ nero.
Eccolo che dice: “Togliti dai coglioni”, sic, su una tv pubblica. Allora io mi guardo nel teleschermo e penso: “Ma che idea si farà di me chi guarda la televisione adesso? Io non sono così, non parlo così”. Non so se sono un bravo giornalista, ma ho rispetto per me stesso e il mio giornale. In vent’anni una cosa credo di essermela guadagnata: la dignità. E non mi va di mandare tutto a quel paese per il signor Rondolino e i suoi simili.
Sì, si potrebbe anche ridere, come quel collega di Agorà che mi sussurra: “Bisognerebbe fare l’antidoping agli ospiti prima di invitarli”.
Io sono pronto. Ma intanto fermate il mondo, io scendo. Alle critiche si risponde, al letame no, si finisce comunque insozzati. Allora prendo e me ne vado. Se altri vogliono continuare con questa tv liberi di farlo. Ma se qualcuno comincia ad alzarsi e andarsene forse qualcosa cambierà.