La battaglia di Alberto Foà, figura di lungo corso del risparmio gestito italiano, contro la "patrimoniale sui più poveri per aiutare i poteri forti". Cioè il meccanismo di prelievi sui risparmi introdotto dal governo con il decreto salva-Italia e poi “corretto” nel maggio 2012
“Una patrimoniale sui più poveri per aiutare i poteri forti”. Alberto Foà, non usa giri di parole per descrivere il meccanismo di prelievi sui risparmi introdotto dal governo Monti con il decreto salva-Italia e poi “corretto” nel maggio 2012 . Figura di lungo corso del risparmio gestito italiano, Foà si è fatto così promotore dell’iniziativa “Risparmiamocelo”, per spingere governo e maggioranza a introdurre nella legge di Stabilità all’esame del Parlamento delle modifiche che possano riequilibrare la situazione.
Si può essere d’accordo o meno sull’opportunità di aver introdotto un ulteriore prelievo sugli investimenti (oltre a quella del 20% sui guadagni conseguiti) . E’ però indubbio che così com’è strutturato il prelievo premia o punisce arbitrariamente i risparmiatori in base al tipo di investimento che scelgono. E per di più capovolge quel criterio di progressività che vorrebbe un livello di tassazione più alto, in proporzione oltre che in valore assoluto, al crescere della ricchezza.
Il decreto prevede infatti due tipi di prelievi:
Dal 2013 l’1,5 per mille annuo sul valore del patrimonio investito di prodotti e strumenti finanziari come fondi comuni, depositi titoli ma anche conti deposito. Un prelievo che si applica sempre, senza nessuna esenzione , e che per di più non può in ogni caso essere inferiore a 34,2 euro (se, ad esempio, ho 1.000 euro su un conto deposito applicando l’aliquota dovrei pagare solo 1,5 euro ma ne pagherò comunque 34,2).
Per i conti correnti bancari e postali e polizze assicurative rivalutabili è invece prevista un’imposta di bollo forfettaria di 34,2 euro. L’imposta non viene però applicata quando la giacenza media annua è al di sotto dei 5000 euro. In altre parole fino a 5000 euro non pago nulla, dopo di che pago sempre 34 ,2 anche se ho sul conto un milione di euro.
Vediamo qualche caso pratico. Se tengo 1.000 euro sul conto bancario non pago nulla. Se invece li investo in un fondo comune pago 34,2 euro. Un identico prelievo lo subirei anche se avessi investito 100 euro (come tipicamente accade nelle fase iniziali di un PAC, i piani di accumulo che prevedono versamenti dilazionati nel tempo) con un livello di tassazione che raggiungerebbe così il 34% del mio risparmio. Ipotizziamo invece il caso di un patrimonio più consistente da 100mila euro. Se li “parcheggio” in banca o alle poste pago sempre 34,2 euro. In un fondo comune o altro prodotto finanziario dovrei versare all’Erario più del quadruplo, ossia 150 euro. Infine, nel caso io disponga di un milione di euro pagherò i soliti 34 euro nel primo caso e 1.500 euro nel secondo.
Non è difficile rendersi conto che una tassazione così strutturata finisce per favorire le poste e le banche. Banche che al momento del varo della legge erano nella fase più acuta della crisi e alla disperata ricerca di liquidità. Se ho un migliaio di euro su un conto deposito che mi frutta il 2% annuo, ossia 20 euro, e devo pagare 34 euro di bollo finisco per perderci e mi conviene spostare tutto sul classico conto corrente bancario o bancoposta. Non prenderò neppure un centesimo di interessi ma almeno, grazie all’esenzione, non pago nessuna imposta di bollo e non vado in perdita.
Per di più, grazie alla soglia di 34,2 euro sotto cui non posso comunque scendere, il prelievo risulta fortemente regressivo vale a dire che l’aliquota aumenta al diminuire della ricchezza. Il punto di equilibrio, quello in cui i due regimi di tassazione si equivalgono, si verifica solo per un investimento di 22.800 euro. In questo caso sono fuori dalla soglia di esenzione dei 5.000 euro e il prelievo dell’1,5 per mille è esattamente pari all’imposta di bollo da 34,2 euro. Stando ai dati di Assogestioni (l’associazione che riunisce gli operatori del risparmio gestito) su 6 milioni di italiani che possiedono delle quote di fondi di investimento 4,2 milioni hanno però investimenti al di sotto di questa soglia. Finiranno pertanto per subire un prelievo che va dall’1,5 per mille al 34% del capitale investito con l’aliquota che cresce man mano che il valore dell’investimento si abbassa.
Ci sono però anche altre ragioni, meno trasparenti, per cui alla fine i più penalizzati saranno i piccoli risparmiatori. Secondo Foà è facile immaginarsi come si comporteranno le banche nei confronti dei clienti più facoltosi che possiedono quote importanti di fondi comuni. Al momento giusto proporranno degli escamotage come le operazione di prestito titoli che consentano al cliente di privarsi momentaneamente dell’investimento e di “schivare” così il prelievo. Un trattamento di favore che però salverà dalle reti del fisco soltanto i pesci più grossi. Secondo Foà il meccanismo voluto dal governo Monti altro non è che una confezione regalo infiocchettata per banche e poste. Un pacco dono che per di più “introduce elementi di opacità che peggiorano lo stato della democrazia finanziaria del nostro paese. E’ un po’ come se si dicesse ai piccoli risparmiatori, aggiunge Foà, “lascia perdere la finanza che non è roba per te e limitati a tenere i soldi sul conto corrente. Un salto indietro di 30 anni che ci riporta alla situazione degli anni ‘70”.