A sud di Roma, esiste una serie di centri moderni che s’insediano più o meno direttamente su città antiche. Ciascuna con un territorio di riferimento nel quale rimangono straordinarie testimonianze della fase romana. Nonostante la dissennata urbanizzazione avviata negli anni settanta del Novecento abbia spesso consumato importanti porzioni di suolo. E con esso abbia fatto tabula rasa di monumenti di ogni tipo. Tutto questo ad Ariccia. Quasi esemplarmente. Nel paese celebre per la Collegiata di Santa Maria Assunta, del Bernini, e i prodotti della gastronomia locale, come la porchetta, e le fraschette, luoghi nei quali bere e mangiare, la storia antica rimane in un angolo. D’intralcio per gli abitanti e di peso per gli amministratori. Come dimostra l’indifferenza dei primi e il distacco con i quali i secondi se ne occupano. Sostanzialmente una risorsa sprecata.

I resti dell’Aricia romana, attraversata dalla via Appia antica, derubricati a simboli di un passato, troppo invecchiato per interessare. Sassi, tuttalpiù muri, che rubano spazio alla città dei vivi. Alle loro occupazioni. La bella struttura in opera quadrata, proprio accanto al nuovo Municipio? L’area, al di sotto dell’abitato moderno, denominata Orto di Mezzo, nella quale ci sono parti delle mura, un tempio in opera quadrata e una cisterna laterizia? Poi, spostandosi sull’Appia antica, i sepolcri laterizi? A valle resti di altre mura? Più in là, quel che rimane di una delle porte urbiche che si aprivano lungo le mura? Ancora più avanti il famoso viadotto di Valle Ariccia? Monumenti accomunati dall’essere privi di quella dignità che meriterebbero. Irraggiungibili ai più, perché quasi mai segnalati. Almeno che non si ricorra a qualche guida archeologica, cartacea. Ma anche privi di qualsivoglia pannello che ne dia qualche cenno. Tanto per capire di cosa si tratti. Tutti in condizioni di conservazione assai più che precarie.

La struttura vicino al Municipio, nei quali alcuni hanno identificato il capitolium della città, un ricettacolo quasi naturale per cartacce ed immondizie varie. Un corpo estraneo. Anche perché non accessibile. Del quale risulta arduo comprendere la funzione. Quasi impossibile immaginare l’originario sviluppo. Spostandosi nell’area del cd. Orto di mezzo, diversi tratti di mura in opera quadrata, alti fino a 5 metri. Sui quali la vegetazione infestante, spontanea, svolge ormai quasi il compito di legante tra i blocchi. Altissime pareti laterizie da riferirsi ad un edificio termale. Del quale si riconosce assai poco. Un tempio a pianta quadrata in opera quadrata utilizzato per il ricovero degli attrezzi agricoli e come riparo dal proprietario del fondo. Il quale, tra una struttura e l’altra, coltiva ortaggi di ogni tipo, soprattutto broccoli.

Osservare i monumenti dalla strada è possibile, entrare nel fondo più difficile. Dal momento che la visita è vincolata al permesso del proprietario. Se ci si sposta ai sepolcri sul lato opposto della strada non si può non essere colti da desolazione. Anche qui nessuna indicazione e tanta vegetazione. Anche qui la visita interdetta. Più avanti il cd. Basto del Diavolo, una delle porte della città. Recintato ed utilizzato come rotonda spartitraffico. Accedervi non è possibile. In compenso al suo interno al di sotto del piano stradale circostante ancora immondizie. Da qui si raggiunge facilmente il grande viadotto della via Appia antica, sul quale i mezzi ancora passano per raggiungere Genzano. Una struttura che con i suoi 231 metri circa di lunghezza dimostra le straordinarie capacità ingegneristiche raggiunte dai romani. Peccato che il lato meridionale, l’unico visibile, sia quasi completamente obliterato da ogni tipo di vegetazione. Che, naturalmente, ne mette a repentaglio la stabilità. Non è tutto. Raggiungendo l’area a nord-est di Ariccia, quasi casualmente si arriva alle cd. Muracce. Resti della presunta Villa di Vitellio sezionati dalla strada moderna, a breve distanza dal nuovo campo sportivo. Muri in opera reticolata e parti di un piccolo complesso termale con relativi pavimenti. Che l’inesistente manutenzione, progressivamente ha deteriorato. Così come le strutture in elevato.

A tutto questo poi bisogna aggiungere quel che è stato distrutto, in tutto e in parte, negli ultimi venti-venticinque anni. Tantissimo. Forse non meno di quanto rimane. Strutture anche imponenti.    

Il problema lo stesso di sempre. Da un lato la Soprintendenza archeologica incapace di rispondere efficacemente ed in tempi rapidi alle illegalità diffuse. Dall’altro amministratori ed abitanti. Gli uni, presi da un governo della città che non sembra contemplare l’archeologia, il suo reale utilizzo a fini turistici. Gli altri, ignari di essere seduti su qualcosa d’importante. Che, a dispetto, di quel che si pensi, non sono né le fraschette né i prodotti dell’agricoltura.

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