Ministero della Difesa, dei Beni Culturali, dello Sviluppo Economico, dell’Economia. Ma anche Rai, Comune di Roma, Regione Lazio, Inps e altri. Su tutti questi vigila la Sipro alla quale però era stato sospeso il certificato antimafia. Di certo la sicurezza dei palazzi di queste istituzioni non è mai stata messa a repentaglio, ma restano i dubbi. Sul punto hanno insistito di nuovo nei mesi scorsi due deputati del Pd, Jean Leonard Touadi e Walter Veltroni, con un’interrogazione al ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri. A distanza di cinque mesi però dal Viminale ancora nessuna risposta. L’occasione venne data dall’arresto, avvenuto in quei giorni, nell’ambito di un’operazione antiusura, di Vittorio Di Gangi, detto Er Nasca, vicino alla banda della Magliana. Vittorio è il fratello di Salvatore Di Gangi, ex patron della Sipro, e anche lui in passato avrebbe avuto frequentazioni con la mala romana (socio nel consorzio Pegaso del prestanome del cassiere della banda della Magliana, Enrico Nicoletti). La Sipro però – come ha prontamente fatto sapere la stessa – non è stata minimamente coinvolta nelle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, che hanno portato all’arresto di Er Nasca.

Tuttavia, nei confronti dell’istituto di vigilanza, secondo Touadi e Veltroni, risulterebbe ancora l’interdittiva antimafia, emessa dalla prefettura di Roma nel febbraio del 2007: poco meno di un anno prima la Metro C Spa, che ha bandito una gara d’appalto per la vigilanza privata, richiede informazioni su una delle società concorrenti (la Sipro Sicurezza Professionale Srl), in relazione all’articolo 10 della legge del 1998. In ordine cioè al rilascio della certificazione antimafia. Per il comando dei carabinieri non ci sono “elementi idonei e diretti a evidenziare il pericolo di infiltrazioni mafiose”.

La questura di Roma però non è dello stesso parere. A pesare, da quanto comunicato da via San Vitale, sono i “numerosi procedimenti penali per reati associativi, truffa, contro la persona e in materia di sostanze stupefacenti che annovera Salvatore Di Gangi” – insieme ai fratelli (Vittorio e Aldo) –, nonché il “rinvio a giudizio per estorsione”. E’ vero, Salvatore Di Gangi non ha più alcun ruolo nella Sipro, come più volte sottolinea l’ufficio legale dell’istituto di vigilanza, ma è comunque il marito della signora Maria Rita Tardi: il presidente del CdA della Sipro Holding Srl, ovvero la nuova società che ha rilevato nel frattempo le quote della Sipro Sicurezza Professionale. “Verificato che i due sono coniugi conviventi – si legge nella nota della questura – si ritiene di non poter escludere tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società”. Per la questura insomma quel certificato non può essere rilasciato. Ed è proprio sulla base di queste informazioni e sul verbale della riunione di coordinamento delle forze di polizia – tenutasi poche settimane dopo il parere negativo espresso dalla questura –, che la prefettura emana il decreto col quale per la Sipro si “ritiene sussistente il pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata”. La società di sicurezza viene così esclusa dall’appalto bandito da Metro C. 

La Sipro decide di appellarsi al Tar. E nel gennaio 2009 i giudici amministrativi accolgono il ricorso: nel giudizio della Prefettura manca “un’istruttoria esaustiva e scrupolosa, così come una motivazione idonea ad evidenziare un quadro indiziario sufficiente a fondare il provvedimento”. Insomma la Sipro viene riabilitata. Ma la battaglia legale tra l’istituto di vigilanza e la Prefettura non finisce. Quest’ultima infatti propone appello al Consiglio di Stato che non esita a ribaltare la sentenza con la quale, appena quattro mesi prima, il Tribunale amministrativo aveva dato ragione alla Sipro. “La gravità dei fatti contestati e della condanna riportata dal signor Salvatore Di Gangi – scrivono i giudici della sesta sezione – giustificano, allo stato, la sospensione della sentenza appellata”.

“La Sipro in sostanza – denuncia a ilfattoquotidiano.it Jean Leonard Touadi – svolgerebbe ancora illegittimamente attività di vigilanza. Per questo abbiamo chiesto al ministro Cancellieri di verificare e dirci quali iniziative intenda intraprendere, qualora la Sipro non avesse davvero il certificato antimafia”.

A nutrire dubbi sul colosso della security c’è pure il consigliere Fli in Regione, Francesco Pasquali. Sipro infatti è affidataria (anche) del servizio di vigilanza presso la sede del Consiglio regionale del Lazio. E Pasquali lo scorso 2 ottobre presenta un’interrogazione al presidente del Consiglio regionale, Mario Abbruzzese, per chiedere spiegazioni sulla legittimità della prosecuzione del rapporto con la Sipro “nonostante la sussistenza di un’informativa atipica”. Visto che, anche secondo l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, la Regione “avrebbe dovuto vagliare l’opportunità di non proseguire il rapporto contrattuale”. E anche in questo caso nessuna risposta. L’interrogazione di Pasquali però arriva nelle mani del presidente della Commissione Antimafia Europea, Sonia Alfano, che informa subito il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone: “Non è un’anomalia?” ha chiesto la Alfano al procuratore, consegnando la documentazione.

Il certificato antimafia, secondo quanto comunicato dall’ufficio legale della stessa società di sicurezza privata, sarebbe stato rilasciato dalla prefettura nel settembre del 2009, quattro mesi dopo la sentenza del Consiglio di Stato che l’aveva sospesa. Due mesi dopo l’istanza di revisione presentata dal nuovo amministratore unico della Sipro Holding, non legato a Di Ganci da alcuna parentela. “Se così fosse – prosegue Touadì – il governo ci avrebbe risposto in 3 minuti ed invece sono passati cinque mesi da quell’interrogazione e ancora niente. Abbiamo attuato anche una procedura del regolamento della Camera dei deputati e scritto al presidente Gianfranco Fini, per sollecitare una risposta del ministro. Ma dal Viminale non ci hanno ancora detto se questa azienda è pulita e se possiede quindi il certificato antimafia. Inevitabilmente da questa situazione sono in tanti i lavoratori che rischierebbero il posto (sono circa 2 mila i dipendenti delle tre aziende che fanno capo alla holding Sipro, ndr) e ciò mi preoccupa non poco, ma è altrettanto importante la credibilità delle istituzioni che lavorano con un’azienda, di cui si deve conoscere la verginità”. Sulla vicenda però adesso farà luce Pignatone.

Aggiornato da Redazione web il 21 novembre 2012

Riceviamo e pubblichiamo la precisazione di Sipro

Seguitando l’articolo di cronaca in oggetto emarginato, si rende utile quanto giuridicamente fondato rappresentare alcune oggettive considerazioni:

– La Sipro Sicurezza Professionale s.r.l. è in possesso del certificato antimafia rilasciato in data 23.09.2009 dalla Prefettura di Roma Prot. n. 73723/Area I Bis O.S.P. e, alla data odierna mai revocato.

– Per quanto concerne il Sig. Vittorio Di Gangi, germano di Salvatore, non è stato mai né proprietario, né appartenente agli organi amministrativi di nessuna delle società appartenenti al Gruppo imprenditoriale al quale è riconducibile Sipro Sicurezza Professionale s.r.l., nonché completamente straneo, a qualsiasi altro titolo e ruolo, all’attività svolta dalle società del gruppo citato.

Ci permettiamo di sottolineare che la Sipro è, da molti anni, periodicamente oggetto di pubblicazione da parte degli organi di stampa, sia tradizionali che non, di notizie non veritiere o completamente prive di fondamento, finalizzate a screditarne l’immagine, ma, soprattutto, la sua posizione commerciale. Purtroppo dobbiamo rilevare che questi attacchi vengono ripresi puntualmente da soggetti investiti di cariche pubbliche che, senza alcuna preventiva verifica, circa la fondatezza di quanto affermato, le rilanciano formalmente in ambiti istituzionali, procurando altrettanti gravissimi danni, con la garanzia di impunità che deriva dalla loro posizione istituzionale, passibili solo di qualche trafiletto che ne sottolinea la “gaffe” (vedi articolo “Veltroni che gaffe” pag. 24 de L’Espresso del 14.06.2012). 

In ultimo, ma per questo non meno importante, teniamo a sottolineare che da questo gruppo imprenditoriale dipendono circa duemila persone e le loro famiglie, che potrebbero subire i danni provocati da questa campagna denigratoria nei confronti della società da cui dipendono. 

Invero nel contestare il contenuto delle vostre affermazioni, peraltro in sfregio ai più elementari principi di diritto, poiché né la Sipro né la governance o altri soggetti coinvolti nella gestione dell’azienda sono stati oggetto di inchieste giudiziarie, si invita e diffida a rettificare quanto pretestuosamente affermato. Per mero tuziorismo si precisa, laddove ce ne fosse per l’ennesima volta bisogno, che la famiglia Di Gangi non può essere affiancata a fatti di cronaca giudiziaria come da voi piuttosto superficialmente e senza alcun elemento di prova oggettiva affermato. In difetto saremo costretti senza alcun indugio ad informare la Procura della Repubblica competente a tutela degli interessi dei singoli nonché della stessa società richiamata.

Nel segnalare i gravi danni che una tale pubblicità negativa può arrecare alla ns. immagine, al nostro lavoro e ai nostri dipendenti, siamo, pertanto, con la presente a richiedere IMMEDIATA rettifica e smentita dell’articolo in oggetto. Ogni ritardo nell’esecuzione di quanto richiesto sarà da noi considerato di rilevanza legale ai fini del risarcimento del danno subito.

Con perfetta osservanza

Sipro Sicurezza Professionale – Ufficio Affari Legali e Rapporti Istituzionali

Gli elementi richiamati dalla Sipro erano tutti presenti nella versione dell’articolo pubblicata il 20 novembre. Per contro la redazione ha ritenuto di modificare gli elementi della titolazione e qualche parola dell’articolo che potevano apparire ambigui, pur essendo sostanzialmente corretti. Di questo ci scusiamo con la Sipro. Quanto alle vicende giudiziarie della famiglia Di Gangi, ci siamo limitati a riportare elementi di cronaca senza esprimere alcun giudizio.

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