Don Alberto Barin, cappellano del carcere milanese di San Vittore, è stato arrestato con le accuse di violenza sessuale pluriaggravata e continuata su sei detenuti e concussione. L’ordine di custodia, emesso dal gip del Tribunale di Milano, è stato eseguito nel pomeriggio dagli uomini della Squadra mobile e della Polizia penitenziaria, si legge in un breve comunicato firmato dal procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati.
Don Barin, 51 anni, è accusato di aver commesso abusi sessuali nei confronti di sei detenuti stranieri di età compresa tra i 22 e i 28 anni. Le prestazioni sarebbero state ottenute in cambio di favori, in particolare “come compenso per la fornitura di generi di conforto o per interessamento alla loro posizione carceraria”. Il parere del sacerdote, tra l’altro, era fondamentale per ottenere il permesso di uscire dal carcere. Oggetto dello scambio anche beni di prima necessità, come spazzolini da denti, shampoo, sigarette e somme di denaro per le piccole spese.
A carico del religioso ci sono anche quattro filmati ripresi dagli investigatori. Nelle immagini si vede, tra l’altro, il prete ricevere le sue vittime in ufficio, all’interno del carcere. Qui Don Barin tirava fuori da un armadietto i beni di prima necessità dopo aver ottenuto i favori sessuali richiesti. Le videocamere sono state installate dalla Squadra mobile di Milano anche nell’abitazione del prete, dove le vittime, una volta scarcerate per fine pena, venivano ospitate e abusate, in quello che secondo l’accusa era una sorta di rituale sessuale per “sdebitarsi”.
Don Barin, si legge nell’ordinanza, “ha utilizzato la sua posizione, le sue funzioni e i suoi pur limitati poteri e la quotidiana vicinanza ai detenuti per soddisfare quasi ossessivamente le sue pulsioni sessuali“. Le persone abusate sono tutti stranieri extracomunitari finiti dietro le sbarre per reati di piccola criminalità, tranne uno accusato di omicidio, che si è rifiutato di ammettere le violenze agli investigatori. Una delle vittime, dopo essersi rifiutato di sottostare alle avances non è stato più convocato nell’ufficio del prete e non ha quindi più ricevuto i benefici che invece venivano elargiti ad altri detenuti.
L’inchiesta è partita a giugno dalla denuncia di un detenuto africano che ha raccontato di essere stato violentato in carcere da un altro carcerato. Nel contesto di questa confessione, ha deciso di raccontare che non era stata l’unica persona ad avere abusato di lui e ha fatto il nome di don Barin. Gli abusi che sarebbero stati perpetrati dal cappellano consistevano in toccamenti e quelli che gli investigatori definiscono “atti sessuali repentini”.
I fatti si sarebbero svolti tra il 2008 e lo scorso ottobre, secondo la ricostruzione dell’inchiesta coordinata dai pm Daniela Cento e Lucia Minutella e dal procuratore aggiunto Pietro Forno, con ordinanza firmata dal gip Enrico Manzi. Don Barin è stato arrestato stamattina nella sua abitazione di piazza Filangieri, adiacente al carcere milanese, ed è stato condotto nel carcere di Bollate, mentre le vittime sono state trasferite tutte da San Vittore in altri penitenziari. Gli investigatori stanno continuando gli accertamenti per capire se altri detenuti abbiano subito abusi, dato che secondo l’accusa don Barin agiva sempre con lo stesso metodo, facendo leva sulle necessità dei detenuti.
La Curia di Milano ha espresso la “massima fiducia nel lavoro degli inquirenti e la disponibilità alla collaborazione per le indagini”, e ha espresso “il proprio sconcerto e il dolore per l’arresto e per i fatti che al cappellano della Casa circondariale di San Vittore sono contestati”.
Il sindacato della polizia penitenziaria Sappe interviene ricordando che “la presunzione d’innocenza vale per tutti”, si legge in una nota firmata dal segretario Donato Capece. La notizia dell’arresto di don Barin, continua, “ci sconvolge perché, in 17 anni di esercizio spirituale a San Vittore, non risultano mai pervenute segnalazioni rispetto alle gravi accuse formulate a suo carico: anzi, è stato sempre molto disponibile con detenuti ed agenti”. In Italia, si legge ancora nella nota, “ci sono più di 230 cappellani che fanno assistenza religiosa negli istituti di pena. Un impegno non soltanto spirituale, ma anche di solidarietà quotidiana”.