Una delle manovre più deleterie degli ultimi tempi per il territorio e la salute di noi tutti, è stata varata dal governo Monti con il cosiddetto “decreto sviluppo bis” (ormai non si contano più i provvedimenti legislativi che cercano di mettere in moto la “macchina Italia”), n. 179 del 18 ottobre 2012.

L’art. 33 di detto decreto legge (che quindi attende la conversione in legge), che si intitola  “Disposizioni per incentivare la realizzazione di nuove infrastrutture”, così recita:

“In via sperimentale, per favorire la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di importo superiore a 500 milioni di euro mediante l’utilizzazione dei contratti di partenariato pubblico-privato di cui all’articolo 3, comma 15-ter, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, la cui progettazione definitiva sia approvata entro il 31 dicembre 2015 e per le quali non sono previsti contributi pubblici a fondo perduto ed è accertata, in esito alla procedura di cui al comma 2, la non sostenibilità del piano economico finanziario, è riconosciuto al soggetto titolare del contratto di partenariato pubblico privato, ivi comprese le società di progetto di cui all’articolo 156 del medesimo decreto legislativo n. 163 del 2006, un credito di imposta a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera. Il credito di imposta è stabilito per ciascun progetto nella misura necessaria al raggiungimento dell’equilibrio del piano economico finanziario e comunque entro il limite massimo del 50 per cento del costo dell’investimento.”

Cosa significhi questa norma è presto detto. In pratica, il privato (costruttore) che inizia a realizzare una grande opera pubblica, la cui progettazione definitiva avvenga entro la fine del 2015, qualora, nel corso dell’opera, si renda conto che l’opera non rende dal punto di vista finanziario, potrà chiedere ed ottenere un credito d’imposta pari al 50% del valore dell’opera stessa.

Appare chiaro che una norma di tal genere sia fatta apposta affinché le aziende costruttrici inizino comunque le grandi opere e poi ne facciano ricadere i costi in buona parte sullo Stato, che rinuncerà ad un grosso introito economico. È facile altresì notare a questo punto come l’interesse di questo governo a contenere i costi pubblici sia fortemente strabico. Molto rigoroso in tutti campi del welfare, molto lassista quando si tratta di favorire la classe imprenditoriale.

L’operazione varata col decreto sviluppo bis (che c’è da scommettere non verrà modificato sul punto in sede di conversione in legge) non potrà che portare:

1)      un incremento del consumo di territorio;

2)      un incremento della già precaria fragilità idrogeologica;

3)      una rinuncia  a sicure entrate pubbliche.

Fra le opere che si avvantaggerebbero di questo sistema, l’autostrada della CISA, la linea AV Verona – Padova, l’autostrada Fano – Grosseto, la pedemontana piemontese. Il Sole 24 Ore però prevede anche: la BRE.BE.MI. (la famigerata autostrada Brescia-Bergamo-Milano), la Tangenziale est di Milano e la Pedemontana Lombarda.

Appare altresì del tutto evidente che questa norma pare una grossa forzatura anche dal punto di vista liberistico, con uno Stato che interviene per tappare le falle delle imprese di costruzione. Come ho già avuto modo di sostenere in altri post, le grandi opere pubbliche in uno Stato effettivamente liberista non verrebbero più realizzate, con un considerevole vantaggio per territorio e collettività.

L’operazione del governo Monti è stata altresì fortemente contestata dalle associazioni ambientaliste, che ne vedono giustamente le ricadute nefaste sul nostro già martoriato suolo.

Da notare infine l’ulteriore voluto strabismo del nostro esecutivo che da un lato, con il Ministro Passera, pone le condizioni per un ulteriore degrado idrogeologico; dall’altro, col Ministro Clini, chiede l’allentamento del patto di stabilità per iniziare l’opera di “sicurezza e manutenzione del territorio.” Domanda: un Monti bis? Risposta: Dio ce ne scampi e liberi.

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