Una legge cosi “brutta” (e destinata ad essere probabilmente cassata dalla Corte Costituzionale) non si vedeva dall’approvazione delle legge 40 sulla procreazione assistita. Norma che, come è noto, è stata demolita pezzo per pezzo dalla Corte Costituzionale.
La Salva Sallusti, tenuta in vita da un accanimento terapeutico dai parlamentari, che vanno avanti solo per non dire “ci siamo sbagliati, scusate tanto”, avrebbe bisogno al più del testamento biologico. Non quello che il Parlamento, in seduta terminale, emulando i precedenti consessi con la non rimpianta legge 40 si accinge ad approvare con un blitz, tipico atto delle democrazie morenti, ma quello che certifichi, al di là dei contenuti, la sua prematura scomparsa.
Sgomberiamo il campo da equivoci: la norma cosi formulata appare probabilmente viziata dai crismi dell’incostituzionalità. Da un lato infatti la figura del giornalista semplice rispetto al giornalista direttore verrebbe ad essere punita in caso di diffamazione con il carcere, mentre la diffamazione (per omesso controllo) del direttore con una pena pecuniaria.
Ad oggi il direttore viene punito con una sanzione penale diminuita, ma sempre commisurata all’attività giornalistica, in quanto il direttore, di solito è un giornalista, tranne nei casi di una pubblicazione organo di un partito, o movimento politico, o organizzazione sindacale (art. 47 legge 69/1963); – oppure una rivista a carattere tecnico, professionale o scientifico (art. 28 L.69/63). La norma presenterebbe, a mio giudizio, evidenti violazione dell’art. 3 Cost e dell’art. 27 Cost., in quanto fra le altre conseguenze sottrarrebbe al giudice la possibilità di valutare la gravità dell’azione del direttore responsabile quando, nella valutazione dell’attività diffamatoria, lo stesso giudice ha invece la possibilità di applicare due differenti sanzioni al giornalista autore dell’illecito.
C’è un precedente dichiarato incostituzionale dal giudice delle Leggi, peraltro, ed è quello del falso ideologico nella presentazione delle firme in occasioni di competizioni elettorali, che, declassato ad ammenda da una leggina dello Stato, venne poi dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale.
Un’ultima notazione, in questa commedia degli equivoci da seconda repubblica, la merita Renato Farina, l’autore dell’articolo incriminato, che si autodenuncia per “salvare” Sallusti, dopo essersi accorto il giorno in passaggio in giudicato della sentenza, di essere stato lui l’autore dell’illecito. Farina si autodenuncia per un reato che cade in prescrizione in un periodo che va da tre mesi a un anno e mezzo da oggi (i fatti sono del febbraio 2007) , il che significa che nessun pubblico Ministero potrà iniziare l’azione penale che si sarà presumibilmente già prescritta. Farina è dunque salvo, e lui lo sa, dal momento che lo stesso ex-giornalista si è presentato oggi in conferenza stampa alla Camera munito di avvocato-parlamentare, che lo avrà reso edotto di ciò che potrà accadere.
Non cosi Sallusti, che è di nuovo a processo il 5 dicembre per un’altra vicenda di omesso controllo.
La condanna che ha subito Sallusti, per i fatti attribuibili a Farina, determinerà conseguenze in ordine alla recidiva (e non solo) in caso di successiva condanna, al punto che Sallusti rischia molto più di quanto ha già preso con la sentenza passata in giudicato, specialmente dopo il deposito delle motivazioni della sentenza di cassazione che lo dichiara “socialmente pericoloso”. Il tutto prima di qualsiasi sentenza di revocazione, che giungerà al di là del tempo massimo per evitare a Sallusti le conseguenze giuridiche legate alle pluralità di condanne.
La norma in via di approvazione serve ad evitare tutto questo, salvando il singolo e condannando centinaia di giornalisti (per non parlare dei blogger che non avranno alcun beneficio da questa norma) ad un destino ignoto, con l’incognita di un possibile giudizio negativo da parte della Corte Costituzionale.
Insomma, un bel pasticcio all’italiana.