L'azienda nell'istanza di revoca dei provvedimenti del tribunale scrive ai giudici che "l'ovvia insostenibilità economico-finanziaria delle condizioni di esercizio condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell’attività produttiva e alla chiusura del polo produttivo"
Se non saranno dissequestrati gli impianti, l’Ilva chiuderà lo stabilimento di Taranto. E’ scritto nell’istanza di dissequestro: “L’ ovvia insostenibilità economico-finanziaria delle condizioni di esercizio condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell’attività produttiva e alla chiusura del polo produttivo”. “L’unico modo per far fronte a tale impegno – scrive l’Ilva – consiste nell’attuazione effettiva del decreto di revisione dell’Aia: vale a dire l’attuazione non solo di quella parte delle novellate disposizioni, recante limiti e disposizioni più stringenti di quelle approvate nell’agosto 2011, bensì dell’autorizzazione all’esercizio nel suo pieno (e ovvio) significato giuridico, cui quelle disposizioni sono appunto strumentali”. A firmare l’istanza il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, e l’avvocato Marco De Luca di Milano nell’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo del siderurgico presentata ieri alla Procura di Taranto.
Il dissequestro, per l’azienda, è funzionale all’attuazione di quanto l’Autorizzazione ambientale prescrive. Solo l’attività di impresa, dice l’Ilva, “può generare le risorse necessarie alla relativa ottemperanza” dell’Aia. L’Ilva fa altresì presente che l’assolvimento degli obblighi dell’Aia, che pone una serie di interventi ambientali e impiantistici, richiede necessariamente il ricorso al credito che “risulta impossibile in presenza di provvedimenti limitativi della proprietà e della gestione dello stabilimento”. Il vincolo sull’area a caldo “diviene, da subito, economicamente insostenibile”.
L’azienda punta su “due distinti elementi diriflessione”. Il primo: all’Ilva è stata rilasciata l’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale, e questa già dovrebbe bastare, secondo gli avvocati dell’azienda, per fare retromarcia. L’Aia da sola “è sufficiente – secondo l’Ilva – a inibire ogni ipotetico giudizio di permanenza del presunto pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze dei reati contestati”. L’Aia, insomma, rende la fabbrica non più pericolosa “all’esito di una incisiva istruttoria e di una Conferenza di Servizi”. Non ci sarebbe stata alcuna concessione dell’Aia da parte del ministero “se l’intero iter non fosse saldamente fondato sulla consapevolezza dell’assenza di un pericolo per l’integrità dell’ambiente e della salute pubblica: consapevolezza appunto cristallizzata e confermata dagli elaborati scientifici offerti in questa sede”.
E qui è l’altro aspetto su cui si basa la richiesta di dissequestro. Cioè dieci documenti – controperizie e articoli scientifici – allegati alla richiesta che sarebbero “radicalmente contrastanti con tutti i rilievi e con tutte le conclusioni formulate dai periti del giudice per le indagini preliminari in sede di incidente probatorio, in relazione a ciascuno dei temi fattuali essenziali sia alla formulazione delle contestazioni elevate, sia in ogni caso alla pretesa sussistenza di un pericolo per l’integrità dell’ambiente e della salute pubblica“. Documenti di parte che “destituiscono di fondamento ogni presunta esigenza cautelare”, secondo gli avvocati dell’Ilva, ma affermano anche che se i periti del gip avessero utilizzato per la misurazione il limite ora in vigore di 40 microgrammi per metrocubo invece dei 20 microgrammi (considerato un valore obiettivo non raggiungibile a breve) “non vi sarebbe alcun eccesso di patologie e decessi a Taranto.
In ogni caso sarà negativo, secondo indiscrezioni, il parere della Procura della Repubblica di Taranto sull’istanza di dissequestro. Per questo motivo la decisione non sarà presa dalla Procura ma dal gip del Tribunale, al quale gli stessi pm “gireranno” l’istanza con il parere negativo motivato. Tutto questo dovrebbe avvenire domani, la decisione probabilmente in settimana.
“Siamo davanti ad un bivio – ha dichiarato il presidente del’Ilva, Bruno Ferrante – Da un lato c’è la strada indicata dal governo che pone un orizzonte, una prospettiva, e che si può sperimentare con l’applicazione del’Aia, dall’altra c’è una strada che è quella indicata dalla Procura di Taranto e che è senza uscita, senza uno sbocco e senza un futuro”. “Tra i lavoratori – aggiunge – c’è grande preoccupazione, ansia e tensione”. C’è “l’impegno a mantenere i posti lavoro” anche se, ha aggiunto il presidente dell’Ilva, “naturalmente la crisi di mercato internazionale e la situazione di sequestro non ci consentono di avere atteggiamenti positivi”. Ferrante ha poi sottolineato che “il governo ha seguito e segue con grande attenzione tutto quello che riguarda Ilva e il canale di dialogo in questi mesi con il governo non è mai mancato”.