Scrive Ausonio: “Gli omosessuali stiano tranquilli e la piantino con gli isterismi e le rivendicazioni inaccettabili (tipo figli e famiglia)“. E aggiunge Stock47: “I gay possono essere tranquillamente gay nella nostra società ma non devono provocare il senso comune altrui con aperte manifestazioni di omosessualità, la loro natura la devono mantenere nella loro sfera privata e non renderla pubblica.” Queste sono solo due delle perle che si possono leggere fra i commenti di alcuni cittadini italiani, lettori de Il Giornale, alla notizia che A., un 15enne gay romano, si è suicidato ieri, impiccandosi con una sciarpa.
Stando a quanto affermano Cristiana Alicata e l’on. Anna Paola Concia, sembra che quel suicidio possa non essere direttamente connesso all’omofobia, ma è comunque utile leggere i commenti di Ausonio e Stock47. Perché rappresentano il pensiero di una fetta marcia e minoritaria ma non piccola degli italiani del 2012 e ci consente di parlare di “omofobia degli onesti”, come l’ha chiamata Anna-Maria Sandri.
L’omofobia degli “onesti”, preferisco chiamarla io, usando le virgolette in senso metaforico. Gli omofobi “onesti” sono quelli che non osano (più) scrivere “Morte ai froci!“, perché in qualche modo la pressione della civiltà occidentale li ha portati a sentire quelle espressioni come inutilizzabili. Eppure questi omofobi “onesti” si esprimono come Ausonio o Stock47, lettori del Giornale che contribuiscono a creare un clima insostenibile che a mio parere può indurre al suicidio quei tanti adolescenti gay, trans o bisessuali che non resistono alle vessazioni e alle discriminazioni di una società che fa di tutto per discriminarli e farli sentire ineguali. L’esempio negativo viene del resto dal Parlamento nazionale, pieno di tutti quei politici del PDL, della Lega Nord, dell’UDC, della Destra e anche del PD, che si sono opposti negli anni all’introduzione di una legge anti-bullismo e anti-omofobia di stampo occidentale.
Cosa possiamo fare noi, che omofobi non siamo mai stati, né “onesti” né smaccati? Dobbiamo prendere a modello ciò che si è fatto nei paesi più avanzati. E se questo Parlamento è del tutto inadatto a essere al passo col XXI secolo, è ora che la società civile si sostituisca al legislatore e imponga de facto delle buone pratiche. Una di queste è la fondazione, nelle scuole, nelle università, negli uffici, delle alleanze gay-etero. Sono coalizioni di cittadini, in grande maggioranza eterosessuali, che si preoccupano di aprire le orecchie e gli occhi nella propria scuola, nella propria università, nel proprio posto di lavoro, affinché quando qualcuno osa fare un commento omofobico (smaccato o implicito) ci sia una reazione immediata, almeno a parole, da parte di chi ritiene che quelle parole siano pietre e chi le ha pronunciate debba rifletterci su.
Protestate. Esprimete il vostro dissenso. Dite che chi si esprime così poi è responsabile morale del suicidio di chi è gay ma è più debole di altri. Ricordate a chi contrasta l’estensione del diritto al matrimonio per tutti che ha la stessa posizione di chi cento anni fa contrastava i matrimoni interrazziali. Fate sentire la vostra voce.
In Ontario, nel Canada, queste coalizioni gay-etero sono state in un primo momento combattute dai dirigenti delle scuole private cattoliche. I prèsidi di quelle scuole impedivano la costituzione di tali alleanze fra i propri studenti sulla base delle proprie (sbagliate) convinzioni religiose. Lo hanno impedito fin quando i loro studenti si sono ribellati e la cosa è arrivata prima nei tribunali e poi al Parlamento dell’Ontario. Che ha passato il Bill 13, o Accepting Schools Act, una legge anti-bullismo e anti-omofobia che, fra l’altro, impone a tutte le scuole della provincia di incentivare la costituzione delle coalizioni gay-etero.
Ecco come inizia il Bill 13:
Il popolo dell’Ontario e la sua Assemblea legislativa credono che tutti gli studenti si debbano sentire sicuri a scuola e si meritino un’atmosfera scolastica positiva che sia inclusiva e plurale, che accetti tutti a prescindere dalla loro razza, genealogia, luogo di origine, colore, origine etnica, cittadinanza, credo, sesso, orientamento sessuale, identità di genere, espressione di genere, età, stato civile, stato di famiglia o disabilità.
Una scuola dove non ci sia spazio per un “Morte ai froci!” non basta. Non basta più.