“Spostare le risorse dal Ponte dello stretto di Messina sarebbe la cosa migliore da fare ma non ci sono queste risorse. Il tema qui è il pagamento delle penali”, ha detto ieri il ministro dell’Ambiente Corrado Clini in audizione in commissione Ambiente alla Camera, ricordando che quelle risorse se ci fossero state sarebbero potute esser spese contro il dissesto idrogeologico. “Ci stiamo confrontando – ha aggiunto – con gli esiti di una situazione da cui stiamo cercando di venir fuori”.
Intanto il capofila dell’appalto, Impregilo, resta ferma al palo. In Borsa come nelle attività industriali. La partita che si gioca, infatti, è anche a Piazza Affari ed è tutt’altro che priva di effetti concreti sul territorio. Anche la quotazione ha infatti un suo peso nella faccenda dal momento che Salini, azionista di riferimento della società di costruzioni e protagonista di un duro scontro con l’altro socio di peso, la famiglia Gavio, ha dato in pegno alle banche la metà circa del suo pacchetto azionario, il 15% della società, con tutti i vincoli ben precisi che tipicamente legano il prestito e le garanzie all’andamento del titolo, con una soglia critica del prezzo delle azioni sotto la quale scatta la restituzione del prestito ovvero l’incremento delle garanzie alle banche creditrici.
Devono essere quindi state giornate da brivido quelle di inizio settembre, quando il titolo dopo settimane di saliscendi ha toccato i minimi dei precedenti cinque mesi a quota 2,82 euro, più o meno lo stesso del penultimo tonfo, di metà maggio. Salvo poi impennarsi e recuperare buona parte del terreno nel giro di due giorni, tra il 6 e il 7 settembre, dopo che gli analisti di Intermonte avevano alzato il giudizio sulla società ad outperform (che vuol dire che secondo loro è previsto che faccia un pò meglio rispetto al rendimento di mercato). La stessa banca poche settimane dopo (il 25 ottobre) ha poi organizzato per conto di Salini un incontro con gli investitori per dare i dettagli dei progetti del costruttore romano per Impregilo.
Sono proprio sbalzi del titolo di questo tipo su cui sta riflettendo la Procura di Milano, che ha appena iscritto nel registro degli indagati per aggiotaggio Pietro Salini, amministratore delegato di Impregilo e di Salini Costruzioni, Massimo Ferrari, direttore affari generali di Salini, Joseph Oughourliam, cofondatore del fondo Amber e Umberto Mosetti, rappresentante in Italia del fondo di investimento, nell’ambito di un’inchiesta sulle assemblee della scorsa estate che hanno portato al cambio nel controllo di Impregilo. Un’indagine, nata su segnalazione del gruppo Gavio per un presunto “patto occulto” tra Salini e il fondo Amber, che avrebbe portato alla sconfitta della famiglia piemontese nell’assemblea del 17 luglio scorso.
La partita però, benché metta a rischio di paralisi le attività industriali di Impregilo, è tutt’altro che conclusa. Anche perché la posta in gioco è alta: innanzitutto ben 1,4 miliardi di cassa in pancia ad Impregilo e poi, appunto, il grande affare del Ponte sullo Stretto di Messina, che potrebbe portare nelle casse della società buona parte dei 300 milioni di indennizzo previsti nel caso di mancata realizzazione dell’opera infrastrutturale.
La società di costruzioni più contesa d’Italia è infatti capofila del consorzio Eurolink, di cui fanno parte anche la Società italiana per condotte d’acqua della potente famiglia di costruttori romani Bruno, l’indebitata spagnola Sacyr (spina nel fianco del Santander del banchiere dell’Opus dei, Emilio Botin), la Cooperativa muratori & Cementisti-C.M.C. di Ravenna, la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries e il consorzio Aci.
E quindi in caso di mancata realizzazione del Ponte, il contractor, nei termini degli accordi siglati a seguito di gara internazionale, avrebbe diritto al pagamento della penale. Non a caso il governo di Mario Monti, dopo il tentativo del ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, di inserire, nella legge di stabilità una norma, poi stralciata, per stanziare 300 milioni di euro destinati a “far fronte agli oneri derivanti da transazioni relative alla realizzazione di opere pubbliche di interesse nazionale”, ha convenuto di rinviare di due anni la decisione sullo stop definitivo al progetto che si stima possa costare una decina di miliardi di euro.
L’epilogo non sembra aver intaccato Pietro Salini, che, dal Sole 24 Ore il 18 ottobre scorso, ha evidenziato come sia “difficile che possa esserci una legge che cancelli la penale per la mancata realizzazione del Ponte. L’Italia è uno Stato di diritto e l’indennizzo è previsto per legge e per contratto. Ci sarebbe anche un enorme problema di immagine per il Paese, che ha lanciato una gara, vinta da un consorzio con un’impresa spagnola, giapponese e Impregilo, sull’opera più conosciuta nel mondo”.