Scritto in collaborazione con la demografa del Cnr Maura Misiti, lo spettacolo diventerà anche un libro per Rizzoli. Tre le tappe iniziali: dopo Palermo, Bologna il 30 novembre e Genova il 9 dicembre. "Vogliamo che le istituzioni mettano subito in pratica le misure per il contrasto alla violenza di genere, previste dalla convenzione 'No More!'"
“Questo è solo il primo sputnik di una serie di razzi che lanceremo su un tema che ci sta a cuore. Sul quale, le istituzioni, a partire dal governo Monti che non ci ha ancora risposto, restano tragicamente indifferenti, nonostante i proclami”. A pochi giorni dalla prima della suo spettacolo “Ferite a morte”, in scena sabato 24 novembre a Palermo, Serena Dandini è più battagliera che mai. Ha deciso di dedicare il suo anno sabbatico lontana dalla tv – “Finalmente vedo il mondo fuori dalla scatola tv”, dice – portando in giro per l’Italia una “Spoon River delle donne uccise per mano maschile”.
Mogli, amanti ed ex fidanzate che non ci sono più raccontano la loro vita, tra sarcasmo e provocazione, attraverso le voci di alcune delle autrici più note del cinema e dello spettacolo italiano: Geppi Cucciari, Angela Finocchiaro, Isabella Ragonese, Lella Costa, Emanuela Grimalda, Paola Cortellesi, Iaia Forte, Micaela Ramazzotti, Lunetta Savino, Ambra Angiolini, Jasmine Trinca, Sonia Bergamasco (solo per citarne alcune), ma anche giornaliste e scrittrici, come Fiorenza Sarzanini, Concita De Gregorio, Lorella Zanardo, Silvia Avallone e persino la leader della Cgil Susanna Camusso. “Ci siamo proprio tutte”, afferma soddisfatta l’ex conduttrice di “Parla con me”. E alla domanda se lo spettacolo andrà in onda sul piccolo schermo, risponde: “Volevo dare colore a quelli che spesso sono freddi numeri o pezzi di carne in un obitorio televisivo. Partendo dal teatro e dal territorio. E non è escluso che resti fuori dalla tv“.
Le vittime solo numeri? Neanche quelli
Scritto in collaborazione con la demografa del Cnr Maura Misiti, lo spettacolo (gratuito), diventerà anche un libro edito da Rizzoli. Per ora prevede tre tappe: dopo Palermo il 24 novembre, Bologna il 30 e Genova il 9 dicembre. “Poi però si vedrà – spiega la Dandini – Abbiamo ricevuto tantissime richieste da tutte le città italiane. Vogliamo provocare l’effetto pugno allo stomaco sull’opinione pubblica, questo vogliamo. Ma soprattutto strattonare il governo perché metta subito in pratica le misure per il contrasto della violenza, previste dalla Convenzione “No More!” (scarica il testo), contro il femminicidio” (qui per aderire).
Anche se sul palco le storie delle vittime italiane si alterneranno a quelle di altri paesi in cui la violenza sulle donne è un’emergenza di vastissime proporzioni, come il Messico, “Ferite a morte” vuole soprattutto portare l’attenzione sulla situazione italiana, dove non esiste nemmeno una banca dati: “Nonostante il lavoro dell’Istat sulla violenza femminile – spiega Misiti – è impossibile sapere quante donne vengano realmente uccise in quanto donne, perché l’unica fonte che abbiamo sono le notizie di cronaca. Una base assolutamente non scientifica, basti pensare agli omicidi delle prostitute che restano fuori dal conteggio, come tanti altri casi. Non c’è ancora un’aggravante specifica e le istituzioni, come le forze dell’ordine, non sono abbastanza sensibilizzate sul tema”.
Ecco perché il comitato promotore della Convenzione “No More!”, di cui “Ferite a morte” si fa portavoce, ha chiesto, in vista della giornata contro la violenza sulle donne il 25 novembre, un incontro con Mario Monti – rimasto ancora senza risposta – perché il governo si pronunci in modo chiaro su come intende sostenere le raccomandazioni che le Nazioni unite, e il comitato Cedaw (“organismo autore di un “rapporto ombra” sulle inadempienze del governo italiano”, spiega Simona Lanzoni di Fondazione Pangea), hanno rivolto all’Italia. Stigmatizzando in particolare l’indifferenza istituzionale al fenomeno, la scarsa attenzione ai centri antiviolenza che operano sul territorio, il silenzio “sul persistere di una diffusa rappresentazione stereotipata e svilente delle donne e dei loro ruoli”, infine “un’informazione che troppo spesso racconta in maniera obsoleta e scandalistica la violenza sulle donne” (un tema sul quale si sofferma in particolare l’associazione Giulia giornaliste, anche lei tra le firmatarie della Convenzione).
Se «ce lo chiede l’Europa» vale solo per i bilanci
“Quando l’Europa ci chiede i vincoli di bilancio, non si batte ciglio, quando invece l’Europa, e insieme le Nazioni unite, vogliono che si intervenga contro la violenza sulle donne la risposta è il silenzio – continua Dandini – Eppure il fenomeno riguarda destra e sinistra, donne di tutti i tipi, uccise spesso da ragazzi considerati “per bene”, ventenni con la foto col “tigrotto” su Facebook”. Come nel caso dell’assassino di Carmela Petrucci, la 17enne di Palermo accoltellata il 19 ottobre da un 23 enne che non sopportava di essere stato lasciato dalla sorella e che sul social network si faceva chiamare appunto “tigrotto”. “Nel 70% dei casi la vittima aveva sporto denuncia – insiste ancora l’autrice di “Ferite a morte” – per questo possiamo dire che si tratta di morti annunciate. Dove il fallimento della società è eclatante”.
Altro obiettivo importante dello spettacolo, secondo Dandini “provocare una rivoluzione nelle scuole, dove si studiano miti fondanti che hanno a che fare sempre con la violenza maschile. Questo tema ha a che fare con la felicità di tutti, donne e uomini, molti dei quali – come quelli riuniti nell’associazione “Noi no“ – promuovono il contrasto della violenza maschile insieme a noi”.
Eppure, le misure chieste al governo non richiederebbero finanziamenti straordinari: ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa (Istanbul, 2011); convergere su una definizione unica di violenza contro le donne; garantire la presenza sul territorio di servizi pubblici antiviolenza; riconoscere i centri antiviolenza già esistenti; prevedere che ogni Regione abbia una legge finanziata anche attraverso i Fondi sociali europei. “In Spagna – dice Monica Pepi di “Zero violenza” – il governo Zapatero, che aveva indicato la violenza sulle donne come seconda emergenza nazionale, in 8 anni di politiche strutturali è riuscito a dimezzare il fenomeno”. “Da noi invece – chiosa Titti Carrano di D.i.Re, “Donne in Rete contro la violenza” – qualcuno ha persino avanzato l’ipotesi di incostituzionalità dei provvedimenti antiviolenza, sostenendo che si tratta di attentati all’unità familiare“.