Altro che crisi. Prepariamoci. Il futuro sta arrivando, galoppando su un cavallo bianco. Sarà migliore del presente, anche se l’Italia in cui viviamo è già la migliore delle Italie possibili. A sostenerlo è una nuova creatura, che si moltiplica a vista d’occhio: il l’inguaribile ottimista, il Giornalista Pangloss. “Abitiamo un paese che il resto del mondo considera un mito e non ce ne rendiamo conto: guardiamo il dito del nostro scontento e non la luna del nostro avvenire”.
L’invito a tener giù le dita, e pure le mani, viene da un’autorevole firma del Corriere. Che, sempre al grido del suo precedente Viva l’Italia (uscito poco più di un annetto fa), rincara la dose: L’Italia s’è ridesta. Viaggio nel paese che resiste e rinasce (sempre Mondadori). “Abbiamo imparato che amiamo l’Italia”, scrive Aldo Cazzullo. “Adesso dobbiamo imparare a crederci […] perché l’Italia può diventare quello che in potenza è: il paese più bello, felice, fortunato del mondo”.
Non ve ne siete ancora accorti, avvolti in una nuvola di preoccupante negatività? Occhio, ammonisce a sua volta Mario Sechi nel suo Tutte le volte che ce l’abbiamo fatta (Mondadori): qui potrebbe esserci lo zampino del “peggiorismo da salotto colto”, di “un’ideologia da Millesimé e brioche in terrazza”.
Potreste far parte, insomma, di quell’insopportabile “club degli Intelligenti a prescindere, capaci di criticare ma non di far sognare, sempre contro qualcosa”. “Untori di sfiducia” che producono “una percezione distorta della realtà”, prosegue il direttore del Tempo, perché “gli italiani che ce l’hanno fatta e ce la faranno esistono”.
Se non ne foste ancora sicuri, a rincarare la dose ci pensa il libro L’Italia di domani, di Beppe Severgnini (Rizzoli). Che – più Lapalisse che Pangloss – afferma: “Qualunque cosa accada, il mondo va avanti e l’Italia è parte del mondo. Una parte importante, profumata, inconfondibile”. E poi, filosofeggia, “i motivi per essere pessimisti ci sono sempre. Anche quelli per essere ottimisti. È una questione di atteggiamento. Anzi, di testa”.
Ma la recessione? Non è così brutta come la si dipinge. “C’è un’Italia che si ribella alle medie statistiche” (quelle tra nord e sud, ndr), scrive a sua volta il direttore De Bortoli nella prefazione al libro di Cazzullo. Certo, “!la crisi è costata pesanti sacrifici alle famiglie, ha impoverito i territori […] ma non ha prodotto vere tensioni sociali, né generato processi di decomposizione della società”. E la strada è tutta in discesa: “Dove manderanno le imprese cinesi i loro dipendenti in viaggio premio? In Nebraska o a Venezia? Dove preferiranno trasferirsi i manager brasiliani? A Baku o a Roma?”, incalza Cazzullo. Non scherziamo. E poco importa se i russi mangiano caviale in Italia e tu vai al discount. “Le nostre città, grazie agli investimenti di questi anni, non sono mai state così belle (?), i sindaci non sono stati travolti dal discredito generale dei partiti (?): insomma non penso che tutto vada bene. Ma l’Italia che resiste e rinasce va raccontata”.
D’altronde, la nostra è l’Italia del Risorgimento, della Grande Guerra, della Resistenza, delle missioni di pace nei Balcani e in Afghanistan, ma anche, continua Cazzullo, “della Chiesa cattolica” e “delle banche”. Coi nostri riferimenti fondanti, Cavour e Mussolini, “le porte usb alle quali collegare i cavi della contemporaneità”, ricorda Sechi, possiamo andare lontano (e d’altronde era proprio il secondo a dire, nel 1932, in piena grande depressione: “Io vorrei che a proposito della crisi italiana non si esagerasse”). Per non parlare del nostro eroe nazionale: fratello Pinocchio. Altro che Steve Jobs, “nerd da garage californiano che passa per le vie della Storia”.
Cos’è quello sguardo scettico? Se siete duri d’orecchio provate ad ascoltare come la mette Federico Rampini. Il quale, facendo seguito a un tam tam che dura da settimane (in particolare sulla sua rubrica sul femminile D), ha annunciato nel suo nuovo libro Mondadori Voi avete gli orologi noi abbiamo il tempo. Manifesto generazionale per non rinunciare al futuro, un “terremoto positivo dei nostri tempi: economico, sociale, sanitario, culturale”.
Quale, chiediamo ansiosi: quella dell’anziano giovane, il reduce della meglio gioventù. “Grazie a noi baby boomers, l’umanità ha a disposizione centinaia di milioni di anni di vita in più”. Altro che sciagura, per i costi delle pensioni e il welfare rapinato. “La materia grigia delle pantere grigie può essere una risorsa strategica”. In uno slancio di generosità, Rampini annuncia: «noi vogliamo essere la soluzione». Dunque, lavoreremo ancora, forse per sempre, visto che l’immortalità è dietro l’angolo. Sotto una nuova sigla: l’AARP, associazione di pensionati-lavoratori americani che vogliono esserci fino alla fine e che, rivela Rampini, ha avuto un boom di iscrizioni. “Che io sappia, solo il Partito comunista cinese ha più iscritti, 75 milioni, ma come percentuale sulla popolazione dei due paesi è l’Aarp a stravincere. Con l’aggiunta che l’iscrizione all’Aarp è totalmente volontaria”. Insomma, dalla Fgci all’Aarp, da comunisti ad arpini. Ma comunque al loro posto. I have a dream: durerò per sempre. Ma forse è un incubo.
Aldo Cazzullo, L’Italia s’è ridesta. Viaggio nel paese che resiste e rinasce (Mondadori)
Mario Sechi, Tutte le volte che ce l’abbiamo fatta (Mondadori)
Beppe Severgnini, L’Italia di domani (Rizzoli)
Federico Rampini, Voi avete gli orologi noi abbiamo il tempo (Rizzoli)
Il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2012