È il posto dove Pier Luigi Bersani può mangiare tigelle, parlare ai lavoratori senza timori e slacciare il primo bottone della camicia. È l’Emilia, terra bersaniana di colore rosso, almeno fino a qualche mese fa. Si sente a casa il segretario del Pd arrivato tra i 3 mila del PalaDozza di Bologna dopo 24 ore in tour per le province emiliane tra operai e terremotati. 

Ci arriva stanco, con la voglia solo di stringere mani e abbracciare spalle amiche da Virginio Merola, al governatore Vasco Errani, senza lasciare dichiarazioni e scivolare in passi falsi. Perché il gioco della primarie è un bel gioco, ma ora la partita è tutta aperta: “Io da segretario ho già vinto vedendo tutta questa partecipazione. Io ci ho sempre creduto e come vedete, ha funzionato. Questo farà bene al Pd e ai progressisti e sarà il segno che in Italia ci sono anche energie buone che possono servire al paese”.

100 mila volontari all’opera, 9 mila seggi in allestimento, un milione di pre registrazioni e di cui 100 mila solo in Emilia Romagna: “Monti ha dato una bella immagine dell’Italia all’estero è vero, – dice il segretario, – ma anche le nostre primarie diranno qualcosa al mondo”. Ad applaudirlo a Bologna tanti anziani, militanti storici di una delle città roccaforte della sinistra italiana e famiglie. Ci sono i giovani, anche se si confondono tra le tempie canute. Sicuro e deciso Pier Luigi Bersani, attraversa la folla che lo accoglie nel palazzetto dello sport cittadino, quasi tirando un sospiro di sollievo. Perché se il risultato non è poi così scontato, dice, è sicuro di essersi messo in gioco fino alla fine: “Non faccio appelli al voto utile. Abbiamo voluto il ballottaggio perché abbiamo pensato che fosse facile strutturalmente con tanti candidati arrivare al secondo turno. Di certo non mi indebolisce, è l’ultima preoccupazione che ho”. E alle polemiche dei renziani che lo accusano di essere stato favorito dalla Rai, alla quale in serata ha concesso un’intervista in diretta, risponde: “Non ne voglio sapere niente. Io avrei potuto anche essere candidato senza fare le primarie”.

Tutto era cominciato il 14 ottobre scorso alla pompa di benzina di Bettola, in provincia di Piacenza. Il leader da giovane chiamato “la pecora rossa” e originario del paese di collina che è già quasi Lombardia, da quel giorno ha macinato strade e chilometri, comizi e altrettante polemiche cercando di arginare la rottamazione firmata Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze in Emilia ci è tornato pure lui, giusto qualche ora prima, perché anche se è terra intoccabile dei bersaniani non mancano i colpi di scena. Ma al PalaDozza di Bologna è una partita vinta a mani basse con sindacati, rappresentanti dei cittadini dagli insegnanti precari fino alle lavoratrici in cassa integrazione. È un trionfo per il leader del Pd perché sicuramente, dire altrimenti qui sarebbe il più grande degli azzardi.

E se il discorso è una pioggia di elogi verso il partito, Bersani parla anche dei nemici che si presenteranno dal giorno dopo la vittoria delle elezioni. “Il nostro primo competitore è il sentimento di sfiducia verso la politica. La prima cosa che dovremmo fare è avere il fisico per non scrollare le spalle davanti a questo problema. Bisogna che diciamo alla gente che con la rabbia e l’indignazione non si risolvono i problemi, ci vuole governo. Mettiamoci all’incrocio tra esperienza di governo ed esperienza di cambiamento”. Un avversario politico che si chiama antipolitica e con il quale Bersani sa di dover fare i conti. Senza dimenticare anche la destra, che non è scomparsa: “Io Berlusconi me lo immagino nello spogliatoio con uno scarpino allacciato e l’altro no che chiede: ma c’è ancora il campo? Secondo me si butta ancora. Io mi auguro che la destra faccia le primarie, perché comunque è tutta salute”.

Nel panorama politico italiano, Pierluigi Bersani difende a spada tratta il suo partito con la sua storia: “Noi siamo quelli di Prodi, Padoa Schioppa, Visco. Siamo quelli che hanno portato l’Italia nell’euro. Ci siamo noi, poi ci sono Grillo e Berlusconi e davanti a tutto questo vi preoccupate di noi? Io lo dico da onesto osservatore. O riusciamo a prenderci un po’ di responsabilità o questo paese può diventare un peso per l’Europa e per il mondo”.

Parla da candidato alle primarie ma pensa già al dopo, quando il segretario spera avrà in mano la coalizione del centrosinistra. Pensa ai prossimi avversari e prossimi impegni, tradendo una fiducia che nascondeva a parole e dichiarazioni. “Volete il programma?, – conclude Bersani, – Portate il camion, ne abbiamo a bizzeffe. Io dico solo due parole: moralità e lavoro. Si parte dalla prima e poi le riforme. Era il 1979 e Nilde Iotti diceva: attenzione che se non si fanno le riforme istituzionali può venire un’orda populista. Noi siamo pronti a farle perché abbiamo l’esperienza giusta”. Chiude con un bagno di folla e se anche l’applauso di Bologna non è il termometro più obiettivo, di sicuro porta un po’ di fiducia prima della sfida finale.

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