Sono giorni strani, questi, in cui i ricordi si fanno largo, alimentati dalla tensione del presente. Allora anche un film, come Venuto al mondocontribuisce a far venire a galla momenti che custodivi gelosamente nello scrigno della memoria. 
A volte la memoria ti viene in soccorso per leggere ‘un tempo’ con gli occhi lucidi dell’esperienza. Non ricordo con esattezza che anno fosse, (forse era il ’93)  ma ricordo gli sguardi di tutti.

Erano 16, divisi in gruppi familiari e provenienti per la maggior parte da Mostar. Qualcuno da Sarajevo.  Sebo era colui che nominarono capo. A Mostar era un Giudice molto conosciuto, il primo sulla lista delle persone da eliminare. Rifiutò la guerra e per questo, scappò con la sua famiglia. Io parlavo spesso con lui che aveva messo in piedi un italiano di sopravvivenza, ma bastava. Li avevamo nascosti in un convento di Giovinazzo, in attesa di un ulteriore trasferimento verso altre destinazioni.
Io mi recavo da loro ogni giorno per aiutare gli altri volontari a rendere la vita di ‘profughi’ meno penosa. Quando li vidi tutti insieme la prima volta, erano messi male.

La guerra ti distrugge dentro e fuori, e molti di loro giovanissimi, avevano necessità di cure dentarie urgenti. Chiesi a due miei amici dentisti (Bafunno e Tempesta di Trani e Terlizzi) di aiutarmi a risolvere il loro problema. Ogni sera ne accompagnavo uno nello studio dei dentisti che gratuitamente aggiustarono tutto e per tutti e 16. I loro studi sembravano una succursale di Emergency, e mi colpì il fatto che i giovani professionisti non hanno mai rivelato questa loro attività pregevole. Mai, in tutti questi anni.

Fecero amicizia con Sebo e gli altri che ogni sera curavano e con i quali scambiavano battute in inglese. Alla fine del periodo quelle bocche furono completamente sanate, ed il sorriso del ragazzo di Sarajevo, quando un giorno mi regalò  lo stemma della sua Città, era perfetto. Lui era diretto negli Stati Uniti, per cominciare una nuova vita, ma si sentiva che la sua Città non lo abbandonava neanche per un attimo.

Quando bombardarono il ponte di Mostar, ero con loro davanti al televisore. Sebo mostrava uno sguardo rassegnato. Non c’era rabbia, solo vuoto. Restammo in silenzio per bloccare le lacrime, e non parlammo dell’avvenimento. Decidemmo di fare una partita di calcio la domenica successiva. Partita memorabile. Quando tornai in Croazia come turista, dopo la guerra, mi capitò di parlare a lungo con un ragazzo che guidava una barca/taxi nell’isola di Hvar. Cercavo di capire quali fossero stati i segnali che potevano lasciar intuire che di lì a poco sarebbe scoppiata  la guerra. Lui non seppe dirmi altro che: “non mi sono accorto di nulla, da un giorno all’altro eravamo in guerra”.

Quel breve tragitto in barca mi inquietò, perché non riuscivo a concepire tanta distrazione. Il ragazzo mi chiese una sigaretta. Ce ne accendemmo una a testa, ma quando gli vidi la bocca mi accorsi che gli mancavano molti denti e quelli che aveva non erano sani. Da allora ho sempre pensato che la guerra ti caria l’anima e quando ti lascia vivo, è perché vuole continuare ad esistere con i suoi tatuaggi indelebili e sfiguranti. Succedeva a due passi da casa nostra.

Grazie a Castellitto ed alla Mazzantini, per avercelo ricordato, perché ciò che accadde solo ieri, potrebbe accadere oggi, senza che nessuno di noi se ne accorga. 

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