Lo psichiatra, nel suo libro pubblicato da Il Saggiatore, spiega che "il concetto di famiglia non è immodificabile" e che "un bambino con uno o due genitori gay non corre alcun rischio specifico". L’importante è che gli adulti siano “capaci di fornire cure”
Indossava dei pantaloni rosa, perché gli piaceva quel colore. Curava le belle mani che scorrevano armoniosamente sulla tastiera del pianoforte. E sì, una volta si era anche truccato: a Carnevale, dove evidentemente non è più vero che ogni scherzo vale. Perché quello scherzo gli è costato una lunga serie di insulti e di grevi prese in giro. Gli hanno dato dell’omosessuale, lo hanno deriso, umiliato. “Massacrato come Cristo in croce”, ha detto sua mamma. “Da due anni Andrea subiva persecuzioni, vessazioni, violenze. Mio figlio ha scelto di reagire con il consueto coraggio, e ha posto fine alla sua povera vita. Ha consapevolmente scelto di interrompere quel crudele e assurdo gioco messo in atto da quanti lo avevano identificato come vittima del loro dileggio, delle loro persecuzioni”. Andrea, eccellente studente di un rinomato liceo romano, si è impiccato. Aveva 15 anni.
Negli stessi giorni del tormento e del martirio di Andrea, è tornato in libreria, in una versione totalmente rinnovata, “Citizen gay – Affetti e diritti” (Saggiatore), il bel saggio di Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicanalista, ordinario alla Sapienza di Roma, sulla condizione omosessuale in Italia e nel mondo. E dispiace che questo orribile e doloroso episodio confermi uno dei punti cardine del libro, e cioè l’arretratezza culturale e politica del nostro Paese in tema di diritti dei cittadini, dunque anche dei gay. Poco importa se Andrea fosse omosessuale o etero: a stroncare la sua giovane vita è stato il pregiudizio, aggravato dalla violenza verbale, ma non per questo meno feroce, delle battute dei compagni di scuola e dei post su facebook. Il calvario di Andrea non è diverso da quello degli americani Bobby Griffith, morto suicida a vent’anni nel 1983, e Matthew Shepard, 21 anni, ammazzato di botte nel 1998, raccontate da Lingiardi nel suo libro. Ma l’America di Bobby e Matthew non era quella di oggi. L’America di oggi è un’altra: in diversi Stati il matrimonio fra persone dello stesso sesso è legale e il presidente Barack Obama, nel pieno della campagna elettorale, si è pronunciato con grande chiarezza e umanità per estendere questo diritto a tutte le persone di tutti gli Stati.
L’Italia di Andrea, invece, è uno dei pochissimi paesi occidentali a non contemplare nemmeno le unioni civili. “Riaggiornando il libro – spiega l’autore – mi è sembrato di vivere in un mondo a due velocità: dal Sudafrica alla Colombia, dal Messico all’Argentina fino all’Ungheria, per tacere di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Canada, Stati Uniti, si è avviata una politica del matrimonio che tiene conto dei cambiamenti avvenuti nella società. Da noi tutto è fermo, immobile. A stento si è ottenuto in alcune città, il registro delle unioni civili: un atto di buona volontà, un segnale politico di apertura, ma senza effetti legali significativi”. Eppure, prima in silenzio poi sempre più pubblicamente, molte coppie di gay e lesbiche hanno realizzato, di fatto, quelle famiglie che la legge non riconosce: famiglie con figli concepiti grazie all’inseminazione artificiale o alle “gestanti di sostegno” (termine politically correct che sostituisce quello, aborrito dai gay, di madri sostitute o, peggio, uteri in affitto). Lingiardi riporta diverse interviste dalle quali emergono famiglie come tutele altre. Famiglie normali con figli normali, a dispetto del più radicato dei pregiudizi, e cioè che un bambino abbia bisogno di un padre e di una madre. Non lo dice Lingiardi, lo dicono le più autorevoli ricerche scientifiche sull’argomento, come quella dell’American Academy of pediatrics, secondo la quale “bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali. Più di venticinque anni di ricerche documentano che (…) un bambino che cresce in una famiglia con uno o due genitori gay non corre alcun rischio specifico”. L’importante è che gli adulti che se ne occupano siano “coscienziosi e capaci di fornire cure, che siano uomini o donne etero o omosessuali“. E allora perché negare a queste famiglie la possibilità di essere legalmente riconosciute come tali? Se lo desiderano, naturalmente, perché molti sono i gay che, come altrettanti etero, al matrimonio non credono e non tengono. “Il concetto di famiglia – scrive Lingiardi – non è unico né immodificabile”.
Lo riconosce una sentenza del 2010 della Corte Costituzionale, laddove stabilisce che la possibilità di legiferare sul matrimonio fra persone dello stesso sesso dipende interamente dalla volontà del legislatore, non trovando in ciò nessun limite od ostacolo o prescrizione nella nostra Costituzione . Lo ribadisce una sentenza del 2011 della Corte di Cassazione in tema di adozione da parte di single. Lo pensava anche il cardinale Carlo Maria Martini che, nel marzo 2012, scriveva: “Se due partner dello stesso sesso ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?”. “Come psichiatra e psicoterapeuta” scrive Lingiardi, “sono sicuro che un effetto collaterale positivo dell’approvazione di una legge che riconosce alle persone lesbiche e gay il diritto di sposarsi contribuirebbe a prosciugare la palude, psicologica e sociale, in cui prolifera l’omofobia. Non è evidente come l’omofobia e il bullismo omofobico si alimentino anche del mancato riconoscimento di un pieno diritto di cittadinanza alle persone omosessuali?”. E non è evidente, aggiungiamo, che da quella palude Andrea è stato ghermito e affondato?