“I lavoratori non stanno lì a prendersi le frustate, i lavoratori hanno i rappresentanti sindacali che prima o poi dovranno essere eletti da voi”. Giuseppe Terracciano, segretario generale della Fim Cisl Napoli non fa in tempo a finire la frase che dalla platea si alza un coro assordante di fischi. “Qua sta la schiavitù”, “vieni a lavorare anche tu sulla linea!”, gli urla qualcuno, mentre lui prova a riprendere la parola: “Se tra di voi c’è qualcuno che pensa che ci sia la frusta e non lo denuncia alle organizzazioni sindacali io penso che sia sbagliato”. A giudicare dalla registrazione che ilfattoquotidiano.it ha potuto ascoltare per intero, la prima assemblea degli operai dalla nascita di Fabbrica Italia Pomigliano (Fip) non è stata certo un successo. Di sicuro non lo è stata per le tute blu già riassorbite in Fip – solo poco più della metà era presente all’incontro – e neppure per i sindacati, come ammette lo stesso Terracciano all’inizio del suo intervento: “A me dispiace personalmente, ma credo che dispiaccia anche a tutti i miei colleghi, che quest’assemblea non sia partecipata complessivamente”.
Certo, deve aver influito anche il fatto che all’incontro erano stati invitati solo gli operai riassorbiti in Fip e non pure i circa mille che lavorano alla Panda anche se il contratto ce l’hanno ancora con Fiat Group Automobiles. Oppure la scelta di convocare l’assemblea nel chiuso della mensa e non, come è sempre stato, in uno dei piazzali della fabbrica. Off the record, però, molti ammettono di non aver partecipato perché non approvano la “nuova cultura sindacale” che c’è in fabbrica dalla nascita della newco, quella che lo stesso Terracciano descrive nel suo intervento: “Siamo esattamente all’opposto del passato, perché in passato c’era una logica antagonista. Oggi la priorità è come noi assicuriamo la competitività di questo stabilimento nel Paese e nel mondo per gareggiare”. Senza “denigrare” la Fiat, come invece starebbe facendo la Fiom. “Parlare contro Pomigliano – continua – non è solo un danno a voi, ma anche a quelli che stanno fuori. Ghettizzare, svalutare questo modello, significa fare una concorrenza contro la realtà di Pomigliano, contro i lavoratori. Demonizzano la Fiat e ci accusano di essere servi dei padroni. Noi facciamo gli accordi, non siamo servi”. Gli fa eco un delegato Rsa Fim, che ricorda come “quei diciannove che sono fuori, che dicono che in questa fabbrica si calpestano i diritti, quando entreranno dovranno firmare pure loro il nuovo contratto”.
Eppure è proprio Terracciano a far riferimento nel suo intervento a una pratica denunciata da tempo dagli operai non ancora riassorbiti in Fip e di cui nessuno, Fiom a parte, aveva finora parlato: la ‘messa nell’acquario’, e cioè la ‘confessione’ pubblica degli operai costretti ad ammettere gli errori commessi durante il proprio turno di lavoro a dirigenti e team leader in una stanza con le pareti in vetro. Una pratica cui il segretario Fim aggiunge un particolare inquietante: “A me risulta che alla messa stanno partecipando anche i sindacalisti delegati – dice – E se alla messa partecipano pure i delegati, voi dovete dire ai vostri delegati, e siamo per sostenerli, le cose che non vanno e insieme dobbiamo trovare la soluzione con l’azienda per risolverle”. “E’ la conferma delle nostre preoccupazioni – dichiara Antonio Di Luca, operaio in cassa integrazione iscritto alla Fiom – Quel che rattrista è che continuano a dire che denigriamo la Fiat. Non è così. Nessuno di noi ha mai parlato male della fabbrica, ma ci siamo da sempre scagliati contro il nuovo contratto, perché siamo convinti, e lo vediamo ogni giorno, che leda i diritti delle persone. Non abbiamo parlato mai male neanche della Panda, un’ottima auto che si sta giustamente ritagliando uno spazio importante sul mercato. Sappiamo, però, che la produzione di un solo modello non può garantire il lavoro per tutti i tremila che sono ancora fuori dallo stabilimento di Pomigliano e dagli altri impianti dell’indotto”.
A tremila tute blu, entro il prossimo 28 novembre dovranno essere sottratti 19 operai, che la Corte d’appello di Roma ha imposto a Fiat di riassumere. Diciannove operai che dal giorno del referendum in fabbrica non hanno messo più piede. E che per entrare saranno comunque costretti a firmare il nuovo contratto con l’azienda. Compreso Di Luca. “Ma firmeremo un contratto di lavoro come operai – dice – Si tratterà di contratti individuali, che non riguarderanno la Fiom. Il sindacato sarà libero comunque di esercitare tutti i diritti contenuti nel titolo terzo dello statuto dei lavoratori: costituzione delle Rsa, assemblee, referendum, trasferimento dei dirigenti delle Rsa, permessi retribuiti, permessi non retribuiti, diritto di affissione, contributi sindacali e locali della rappresentanza sindacale”. Tutto come prima del referendum, insomma. Come se questi due anni non ci fossero mai stati.