“Sanità pubblica o privata? Niente pregiudizi ma controlli rigorosi”. Sono le parole di Umberto Ambrosoli, candidato presidente della regione Lombardia, sulle quali sono assolutamente d’accordo. Come i lettori sanno, sono dieci anni che cerco di rendere pubblico il sistema di controllo da me studiato e pubblicato, di cui ho parlato nella puntata “La prestazione” di Report del 2 maggio 2010, che parte da un semplice presupposto: non serve a nulla controllare le cartelle cliniche, che possono essere manipolate con correzioni, occorre controllare i pazienti in modo randomizzato per sapere se qualcuno sbaglia o utilizza la medicina per “bene proprio”, e non come bene comune, magari barricandosi dietro a un albero sottile che sta diventando un baobab: la medicina difensiva.
Inoltre, come ho scritto nel mio progetto History Health, occorre permettere la registrazione di qualunque evento sanitario (prescrizioni, esami, interventi) su moduli sanitari elettronici personali verificabili direttamente senza interposizione di processi regionali difficili da gestire e visionare. In questo modo il paziente torna ad essere il padrone dei propri dati sanitari e il medico si sente maggiormente “controllato”, senza pregiudizio alcuno.
Alle parole di Ambrosoli si contrappongono quelle del ministro Balduzzi per cui la prospettata chiusura delle strutture sanitarie con meno di 80 letti sta agitando molto il mondo sanitario privato accreditato, in quanto moltissime cliniche verrebbero chiuse, specie al centro sud (l’Associazione Italiana Ospedalità Privata stima che in alcune regioni sparirebbe del tutto la sanità privata accreditata!). Il cittadino che vantaggi avrebbe? Perché anche questo governo tecnico trova più giusto semplicemente tagliare posti letto e non si preoccupa di verificare più seriamente l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie? Forse perché è più facile sparare nel mucchio, invece di entrare nel merito della qualità e appropriatezza!
Purtroppo per arrivare a questo sarebbe necessaria fare “cultura sanitaria” a tutto campo senza passare da un sistema che autorizza tutto, a un altro che vuole il contrario. Sul numero minimo dei posti letto, sul numero delle prestazioni sufficienti a garantire un buon esito delle stesse, siamo tutti d’accordo; ma penso che non sia stata fatta un’analisi epidemiologica, una valutazione continua dell’evoluzione della medicina, sul fatto che oggi non si debba più ragionare in termini di posti letto ma di prestazioni, sulla necessità di verificare che tutte le prestazioni erogate siano necessarie. Altrimenti c’è il rischio di consegnare la sanità pubblica, accreditata o meno, alla privata pura.