La domenica delle primarie di centro sinistra, l’officina di Bettola di proprietà della famiglia Bersani è aperta. Una luce bassa e il cancello socchiuso. Esce Sergio, il cugino, con cinque copertoni di macchina e la tuta da lavoro. “Non ci sono ancora andato a votare, devo portare queste cose in cantina. Appena finito di lavorare scendo in paese al seggio”. Non può stringere la mano il cugino di Bersani perché è sporca di olio e “se aspetta, adesso devo andarmi a cambiare”. E ci tiene a sminuire la questione: “Insomma, niente di particolare. Ci sono le primarie, speriamo che ce la faccia. Noi facciamo la nostra parte. Non è che se ne parli poi tanto”.
È la stessa discrezione di quel 14 ottobre, di quando Pier Luigi Bersani aveva scelto la pompa di benzina che fu del padre per lanciare la sua campagna elettorale. Le foto di rito con il cugino, le descrizioni dell’infanzia e la storia di una famiglia di lavoratori. Erano impacciati quel giorno, stretti in abiti della festa che forse insieme non avevano mai usato spesso. Perché se si cresce tra colline, fiume e la piazza del paese, la storia è sempre a chi corre più forte senza sbucciarsi le ginocchia e chiedere al cugino di parlare alla campagna elettorale per andare a Roma, suona pure un po’ strano.
“Io lo so che ci tiene molto”. Sergio quando parla con i curiosi e i giornalisti ha sempre quel distacco di chi sta lavorando e ha tante cose a cui pensare oltre le sciocchezze di politici e le piccolezze di partito. Ma se si insiste per sapere se è davvero la festa di un partito a cui tiene Bersani, Sergio fa il sorriso del cugino che quella storia deve averla sentita tante volte e chissà sotto quali spoglie e poi dice: “No, ci tiene davvero a diventare il candidato di centro sinistra. Lo so”. Lo sa Sergio, come lo sapeva da piccolo ascoltando le discussioni dei grandi, come lo sapeva quando il cugino se ne è andato per fare cose che forse nessuno in famiglia, almeno all’inizio ha mai capito. “Adesso vi devo lasciare”, il lavoro chiama e Sergio prima di andare a fare il suo dovere da cittadino e da cugino deve prima finire di ordinare l’officina.
Bettola la domenica pomeriggio delle primarie è deserta. Qualche luce fioca di bar aperti fino alle sei del pomeriggio e coppie che passeggiano vicino al fiume. Nella piazza dove Pier Luigi Bersani ha fatto il comizio di apertura della campagna elettorale non c’è nessuno. Solo ogni tanto qualcuno arriva in macchina, parcheggia e sotto gli ombrelli corre a votare. C’è un seggio, sezione unica per i 3200 abitanti locali e quattro rappresentanti che sommersi da fogli e burocrazia raccolgono i voti. Discutono e si contestano, anche se sanno che la loro politica conta lo spazio di qualche chilometro e tanto loro “certo che si vota per il segretario”. Ma ce la fa Pier Luigi Bersani? Le vince le primarie al primo turno? “Sì che vince, ce la fa, ce la fa”. Le risposte sono ingessate tra la scaramanzie delle belle occasioni e la paura di dire qualcosa di sbagliato, là nella terra del segretario. “Io non sono mica di sinistra”, racconta Bruno un vecchio conoscente di Bersani, “però vengo a votare per il mio concittadino. È un bravo ragazzo. È una persona onesta, io lo ricordo quando faceva il consigliere d’opposizione qui in paese. Ma ve lo immaginate cosa vuol dire fare opposizione in questo paesino?”.
Non è un bagno di folla nella cittadina dove il segretario del Partito Democratico è nato, anche se ognuno cerca di fare la sua parte. La politica, qui che si è sempre oscillato tra Democrazia Cristiana e destra, è cosa a cui si interessano in pochi e discussione da lasciare a chi ha del tempo da investire. Però si fa quel che si può, e chi lo ha incontrato e conosciuto non può che votare per Bersani. “Le lamentele che sentiamo più spesso, – dice il presidente del seggio presso la sede della Cgil locale, – sono che Pier Luigi Bersani abbia contato poco in paese. Sapete perché? Lui non ha mai raccomandato nessuno. Nessuno qui ha avuto un posto di lavoro, un finanziamento o un aiuto perché concittadino del segretario. E questo è un onore”. È la recriminazione che fanno in tanti, avrebbe potuto fare di più per i suoi cittadini: “Tutti i soldi che il segretario ha portato alla città vengono da progetti approvati e non da sotterfugi e giri burocratici per favorirci”.
Bettola si racconta così, sotto la pioggia e una nebbia inaspettata tra le colline che sono quasi Lombardia e che solo per un pelo rendono i concittadini di Pier Luigi Bersani gli emiliani pronti a difenderlo in ogni occasione. E il sostegno è spesso una maschera che non tutti condividono: “Il voto è segreto, mica dobbiamo votarlo per forza Bersani”, dice Luisa vent’anni davanti al padre che la guarda con disappunto. “Bisognerà pur dare spazio ai giovani prima o poi”, si lascia scappare una signora appena uscita dai seggi. E se la vittoria, qui sulle colline piacentine, non sembra poi così scontata, di certo non cambierà gli equilibri o la salvezza di un paese che sul segretario Pd ha imparato a non contarci mai troppo.