Ieri, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Amnesty International ha lanciato un nuovo appello, indirizzato al ministro dell’Interno Ahmad Gamal El-Din, per chiedere alle autorità egiziane di fermare la violenza sessuale, in particolare quella che chiama in causa militari e forze di polizia.
Le donne egiziane sono state protagoniste delle manifestazioni che, all’inizio del 2011, hanno fatto cadere Hosni Mubarak. La loro partecipazione alla “rivoluzione del 25 gennaio” e le loro richieste di prendere parte al disegno del futuro del paese rischiano però di essere messe in un angolo, se la Costituzione in corso di stesura non sancirà a chiare lettere l’uguaglianza di genere.
Il dibattito in corso sulla Costituzione non è confortante: oscilla, infatti, tra la posizione che riconosce i diritti delle donne nei limiti imposti dalla sharia e quella di non farne menzione. In questo articolo, il punto della situazione.
Nel frattempo, aumentano le aggressioni a sfondo sessuale. Ne fanno le spese le inviate della stampa internazionale ma, molto più spesso, comuni cittadine egiziane. Piazza Tahrir, da simbolo della “rivoluzione del 25 gennaio”, è diventata un luogo a rischio.
Lo era già stato, in realtà, ai tempi dello Scaf, il Consiglio supremo delle forze armate che ha gestito la transizione da Mubarak all’attuale presidente, Mohamed Morsi. L’obiettivo dello Scaf sembrava evidente: terrorizzare le donne per tenerle lontane dalle manifestazioni.
Il 9 marzo 2011, dopo aver disperso una protesta in piazza Tahrir, i soldati portarono 18 donne in un carcere militare. Diciassette di loro furono trattenute per quattro giorni. Una volta rilasciate, alcune denunciarono di essere state picchiate, spogliate, sottoposte a scariche elettriche e costrette a subire “test di verginità“. Secondo il perverso ragionamento dei militari, se fossero risultate vergini, il test li avrebbero posti al riparo da eventuali accuse di stupro; se il risultato fosse stato opposto, le detenute avrebbero potuto essere incriminate per prostituzione.
Dopo la sentenza del tribunale amministrativo che aveva disposto il divieto di ricorrere ai test di verginità, quest’anno a gennaio una corte penale ha assolto un medico militare dall’accusa di averli praticati. Samira Ibrahim, che lo aveva denunciato, ha deciso di continuare la sua lotta per la giustizia e di portare il suo caso davanti alla Corte africana dei diritti umani e dei popoli.
Nel dicembre del 2011, c’era stata un’altra serie di aggressioni contro le donne nelle strade del Cairo. I filmati di quel periodo mostrano i soldati colpire, calpestare e trascinare le manifestanti per i capelli. In quei giorni emersero molte segnalazioni di palpeggiamenti, minacce di stupro, pestaggi e violenza sessuale.
In un clima complessivo di quasi totale impunità, di cui abbiamo già parlato in questo blog, nessun soldato o agente di polizia è stato ancora giudicato colpevole di violenza sessuale. È proprio l’impunità, insieme al timore di essere stigmatizzate e allontanate dalle famiglie o di subire vendette da parte degli agenti e dei soldati, a far sì che le denunce siano scarse.
L’esercito ha fatto ritorno nelle caserme, un presidente civile ed eletto è in carica. Ma le autorità non hanno intenzione di venire incontro alla domanda di giustizia, dignità e riforme che ancora sale dalle piazze egiziane. A maggior ragione, sale dopo il decreto di giovedì scorso, segnale di una svolta autoritaria. In nome della rivoluzione, come sostiene il presidente Morsi, o a giudicare dal contenuto del decreto, contro la rivoluzione?