Mal di denti, maltempo, malumore. Per il Pd conta di più se l’elettore discolo abbia saltato l’appuntamento del primo turno delle primarie perché 1) lasciato di punto in bianco dalla ragazza 2) afflitto dagli effetti della peperonata della madre 3) azzoppato dal fallaccio nella partita di calcetto del sabato sera? Mistero insondabile. Fatto sta che chi vorrà mettere la propria bella ics sul nome di Pierluigi Bersani o di Matteo Renzi domenica prossima dovrà motivare la propria assenza, come uno scolaretto svogliato, mentre gli uffici elettorali provinciali, severi professori tentati dal sette in condotta, decideranno se ammettere o meno la giustificazione. Pare (finora, ma non si sa mai) non sia richiesta la firma di un genitore o di un tutore.
L’assurdità delle regole per il ballottaggio delle primarie dimostra, prima di tutto, l’errore gigantesco di Renzi. Se al Pd vuole tanto bene, se abbraccia tutti con calore, allora avrebbe dovuto con la stessa passionaccia partecipare alla definizione delle regole della competizione: il partito è il suo e, oggi, a poco serve adottare un seggio, come invita con una e-mail. Ci s’organizza da subito. Così, tanto per stare tranquilli e evitare la parte dei polemici con il ditino alzato. (non a indicare le stelle)
Il meccanismo della giustificazione, però, rivela soprattutto l’essenza del Pd attuale. Professorale. Un posto in cui le regole, invece di arginarla, sono subalterne alla discrezionalità di un gruppetto (l’ufficio elettorale).
Un partito così, insomma, ancorato alle logiche della nomenclatura come una cozza, granitico e con la penna rossa in mano, può davvero immaginare (e praticare) il futuro del paese?