L'azienda contesa tra i parenti del fondatore della storica azienda di Bologna e l'Arcivescovado al quale è stata lasciata in eredità
Nuovo capitolo nella vicenda della Faac, la fabbrica milionaria dei cancelli automatici di Zola Predosa, passata alle cronache per essere al centro di una contesa sull’eredità. Maria Fiammetta Squarzoni, giudice della prima sezione civile del Tribunale di Bologna, lunedì ha infatti rigettato la richiesta di sequestro dei parenti del figlio del fondatore della Faac, Michelangelo Manini, morto lo scorso marzo.
I dell’ex re dei cancelli contestano la presa in possesso dell’intera eredità da parte della Curia di Bologna. La Chiesa del capoluogo emiliano infatti, presentando un testamento datato 1998 che sarebbe stato redatto dal manager, è entrata in possesso sia del 66 % delle azioni del colosso industriale, sia di tutte le altre proprietà appartenute a Manini.
Il giudice, con la decisione di lunedì, ha rigettato la richiesta di sequestro dell’azienda, da affidare, secondo i parenti, a un custode giudiziario ed ha quindi anche detto no all’azzeramento del consiglio di amministrazione dell’azienda. Già da diversi mesi infatti nel cda di Faac siedono rappresentanti della arcidiocesi bolognese.
Tuttavia, quella della Curia potrebbe essere una vittoria di Pirro. Il giudice Squarzoni ha dichiarato “inammissibile” la richiesta dei parenti solo perché mercoledì mattina si terrà un’ulteriore udienza di questa intricata vicenda legale. Il giudice Maria Cristina Borgo, dovrà infatti decidere su un altro sequestro dei beni dello scomparso Manini chiesto dai parenti. Un sequestro che il magistrato il 9 ottobre scorso ordinò e che è stato bloccato solo dall’impugnazione da parte dell’arcivescovado di Bologna.
Per questo motivo l’udienza di mercoledì è fondamentale. Di fatto, se il giudice confermasse la decisione di ottobre partirebbe il sequestro ed entrerebbe in scena un custode giudiziario.
I parenti di Manini intanto non sono stati con le mani in mano e venerdì scorso hanno depositato, a nome di Carlo Rimondi (zio materno di Michelangelo Manini), un reclamo in vista dell’udienza di mercoledì. Per loro la fabbrica va sequestrata e affidata a un custode perché troppi dubbi si addensano su quel testamento che lascerebbe tutto in mano alla Chiesa. Secondo il reclamo scritto dall’avvocato Rosa Mauro, “è necessario provvedere al sequestro giudiziario dell’intero compendio ereditario, nulla escluso ed eccettuato, e alla sua temporanea gestione per evitare che lo stato di fatto esistente in pendenza di giudizio (management e governance estranei all’assetto proprietario, quantomeno di maggioranza) comporti il concreto e imminente pericolo che si verifichino deterioramenti, sottrazioni o alterazioni”.
A ottobre scorso infatti venne alla luce un fatto perlomeno curioso. Un conto da 30 milioni appartenuto a Manini, finito nelle mani della Chiesa insieme a tutta l’eredità, era stato ‘svuotato’. “Le leggi non consentono a un defunto di rimanere intestatario di un conto”, aveva dichiarato monsignor Gian Luigi Novoli, economo generale dell’Arcidiocesi al Resto del Carlino, “quando il cardinal Caffarra ha accettato l’eredità, siamo stati costretti a volturare questi soldi in altri conti aperti ad hoc e che sono intestati alla Curia”.
Nessun mistero, aveva dunque assicurato la Curia, ma solo una “voltura” su un altro conto senza toccare nemmeno un centesimo di quella immensa somma. Una somma peraltro minima di fronte a un patrimonio totale che si aggirerebbe intorno ai 300 milioni di euro.
I parenti puntano anche su un’altra questione: e cioè la veridicità del testamento che attesterebbe il lascito alla Chiesa cattolica. Una perizia giurata fatta fare dai parenti, parla chiaro: “I due testamenti (…) sono apocrifi perché, se la firma in calce è compatibile con le autografie di Michelangelo Manini nella nostra disponibilità (…) non si può dire altrettanto per la parte dispositiva e la data, vergate in carattere stampatello minuscolo, quest’ultimo certamente proveniente da unica mano, che ha impronta femminina (…)”. Insomma per i parenti questo e altro basta perché il tribunale prenda in custodia l’eredità di Manini e la stessa fabbrica in attesa di una lunga diatriba legale per decidere chi sarà il futuro mister Faac.