Gli operai in fibrillazione. La Procura a lavoro. La politica che trema, con Vendola costretto a giustificarsi. E il governo che prova a trovare una soluzione (per decreto) con Clini che pensa a una nuova Acerra. Nuova giornata di tensione a Taranto, dopo la chiusura annunciata ieri dal gruppo Riva. Intanto l’Ilva ha riabilitato i badge ai lavoratori dell’area a freddo, disattivati ieri contestualmente all’annuncio che gli impianti sarebbero stati chiusi. La riattivazione è stata fatta nonostante l’attività nell’area resti in gran parte sospesa. Per ora, a quanto si è saputo, continueranno a lavorare i dipendenti dell’area Servizi e manutenzione, con una riduzione del personale al 50 per cento. Tutto il resto sarà fermo almeno fino al pronunciamento del tribunale del Riesame dopo il ricorso presentato da Ilva dopo l’ultimo intervento della magistratura. L’azienda non ricorrerà invece, come aveva annunciato, alla cassa integrazione annunciata nei confronti di 1942 operai dell’area a freddo, che usufruiranno delle ferie o comunque rimarranno a carico dell’Ilva.
Nel frattempo, il governo sta cercando di sbrogliare l’intricatissima matassa. Nel corso di un incontro tenutosi oggi al Quirinale, infatti, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il premier Mario Monti hanno esaminato le complesse questioni che la vicenda solleva anche in vista del prossimo Cdm dove potrebbe essere presentato un decreto legge. Il ministro dell’Ambiente Clini, invece, si è portato anche oltre, annunciando a SkyTg24 che il decreto sarà pronto entro venerdì.
Intanto è emerso che tra gli indagati della Procura sono finiti anche il sindaco del capoluogo ionico Ippazio Stefàno e un sacerdote, don Marco Gerardo, segretario dell’ex vescovo di Taranto. Tra i nomi iscritti nel registro degli indagati anche quello di un poliziotto. Si tratta di Cataldo De Michele, ispettore in servizio alla Digos della questura di Taranto. L’ipotesi di reato sarebbe rivelazione di segreti d’ufficio. La Procura intanto ha delegato la Guardia di finanza ad eseguire accertamenti a Bari e a Roma in relazione al via libera alla vecchia Autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 4 agosto 2011 all’Ilva di Taranto, poi riesaminata e approvata alcune settimane fa. Nelle oltre 500 pagine dell’ordinanza eseguita ieri, numerose pagine, contenenti anche intercettazioni, sono dedicate a dialoghi con funzionari regionali sulle prescrizioni ambientali che l’Ilva avrebbe dovuto rispettare, poi confluite nella vecchia Aia.
Il sacerdote è accusato di false dichiarazioni al pm in relazione ad una presunta tangente di 10mila euro che l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, arrestato ieri, avrebbe consegnato al consulente del Tribunale nonché ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti per addomesticare una perizia sulle fonti di inquinamento. Archinà aveva riferito agli inquirenti che quella somma, prelevata da cassa aziendale, non era destinata a Liberti ma si trattava di una elargizione alla curia tarantina.
Il sindaco di Taranto invece è indagato per omissioni in atti d’ufficio in relazione alle prescrizioni a tutela dell’ambiente cittadino. La sua iscrizione nel registro degli indagati sarebbe un atto dovuto derivante da una denuncia di un consigliere comunale, Filippo Condemi.
Quanto all’agente della Digos si fa riferimento a un centinaio di conversazioni telefoniche tra il poliziotto e Archinà nelle quali quest’ultimo sarebbe stato informato dall’ispettore di manifestazioni sindacali e di ambientalisti critiche nei confronti dell’Ilva. In particolare si cita un episodio del 7 giugno 2010 quando il poliziotto avrebbe riferito ad Archinà di un incontro che il procuratore Sebastio aveva avuto in questura con il direttore dell’Arpa Assennato, per chiedergli una relazione sulle emissioni di benzoapirene da parte dell’Ilva.
Il sindaco di Taranto Stefàno si dice “sereno e convinto di non aver sbagliato”. “A dire il vero ho appreso la notizia dai giornalisti”, aggiunge Stefàno, e sarei indagato sulla base di “una denuncia fatta da un consigliere di opposizione – spiega Stefàno – che ha fatto per dieci anni parte della maggioranza che ha portato al dissesto il Comune di Taranto e che non ha fatto niente per l’ambiente, mentre ora mi accusa di omissione di atti di ufficio. Ricordo che sono stato io il primo sindaco a presentare alla magistratura quello che gli stessi magistrati hanno definito un esposto corposo”. “Sono a posto con la mia coscienza e contento che si farà chiarezza: porterò ai magistrati tutti i documenti, fermo restando che gli uomini possono sbagliare, ma comunque non per dolo – conclude Stefàno – In ogni caso io sono sereno e convinto che non ho sbagliato”.
Gli operai occupano la direzione
Stamattina, in concomitanza con il primo turno, diverse centinaia di persone hanno fatto pressione sugli ingressi della portinerie A e B e, alla fine, per evitare incidenti, la vigilanza ha deciso di aprire. Ma la situazione più tesa è quella alla portineria D, dove centinaia di lavoratori hanno prima forzato i varchi dello stabilimento e poi sono entrati anche nella direzione del siderurgico occupandola. Per decisione aziendale, sarebbero dovuti entrare soltanto gli addetti alla manutenzione dell’area a freddo quelli dell’area a caldo e non anche i lavoratori addetti a quei reparti che da ieri sera sono stati fermati per decisione dell’Ilva.
Intanto ci sono importanti novità anche dal fronte giudiziario, con l’iscrizione nel registro degli indagati di almeno altre cinque persone, oltre a quelle indicate nelle ordinanze di custodia cautelare. Tra queste ci sono il segretario dell’ex arcivescovo di Taranto mons. Benigno Luigi Papa, don Marco Gerardo e, soprattutto, il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno.
Ieri sera Fim, Fiom e Uilm hanno respinto il provvedimento aziendale, definendolo una “serrata”, nonché una “rappresaglia” nei confronti dei lavoratori, e hanno deciso che questa mattina tutti si sarebbero comunque presentati sul posto di lavoro. Attualmente un migliaio di persone circa è nell’area della direzione dell’Ilva, tra interno ed esterno dell’edificio. Le strade adiacenti allo stabilimento non sono per il momento bloccate. L’Ilva nel pomeriggio di ieri ha deciso di fermare i settori che producono tubi, coil e lamiere a seguito del sequestro disposto dalla Procura disposto in mattinata, assieme all’ordinanza di custodia cautelare per sei persone fra vertici dell’Ilva ed ex dirigenti. Il gip, Patrizia Todisco, ha sequestrato i prodotti in uscita dallo stabilimento e in procinto di essere spediti ai clienti che li avevano ordinati, in quanto ritenuti “profitto di un’attività ritenuta illecita penalmente”. Di fatto, come ha spiegato ieri il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, nel corso di una conferenza stampa, l’Ilva, dopo il sequestro del 26 luglio per disastro ambientale dell’area a caldo, non ha più la facoltà d’uso produttiva degli impianti della stessa area, ovvero cockerie, altiforni, acciaierie. Il fatto che l’Ilva in questi quattro mesi abbia regolarmente continuato a produrre coil, lamiere e tubi, costituisce secondo i giudici il “provento dell’attività penalmente illecita”. Da qui, appunto, il sequestro.
Gli altri stabilimenti
Sono circa ventimila le persone interessate dalla chiusura decisa dall’azienda. Ai 5mila operai che lavorano nello stabilimento di Taranto, infatti, vanno sommate le altre 15mila persone che lavorano negli altri stabilimenti del gruppo e nell’indotto che dipende dal siderurgico tarantino. Come quello di Genova, dove gli operai sono scesi in corteo. Dopo pochi minuti di assemblea, le tute blu si sono mosse dallo stabilimento di Cornigliano in direzione ponente, verso la rampa autostradale dell’uscita di Genova Aeroporto. Secondo i sindacati, gli operai in manifestazione sarebbero circa 1500. Il traffico è bloccato. In corteo anche una dozzina di motrici di mezzi pesanti delle ditte appaltatrici dell’Ilva.
Letta (Pd): “Unica soluzione è decreto”. Formigoni: “Magistratura ha detto no a soluzione”
Per Enrico Letta del Pd, invece, c’è un’unica soluzione: un decreto legge ad hoc. “Non credo vi siano alternative al punto drammatico a cui si è giunti. La situazione va sbloccata entro le prossime ore” ha scritto il vice segretario democratico su Twitter. Sul popolare social network ha scritto anche il governatore lombardo Roberto Formigoni, che se l’è presa con la procura di Taranto. “Il ministro Clini aveva indicato strada certa per bonificare l’Ilva e salvare posti di lavoro. Ma la magistratura ha detto no. L’acciaio tedesco gode!” ha detto il Celeste, secondo cui “hanno fatto fuori l’Ilva, senza appello. L’ordine dall’estero è stato perentorio e convincente, e qualcuno che poteva farlo lo ha fatto”. Un complotto, quindi, che poi ha fatto una previsione a tinte fosche per il futuro partendo dal passato: “Come nel ’92 abbiamo dovuto svendere le nostre aziende pubbliche, così ora dobbiamo chiudere le private, l’Ilva è solo la prima. Italia colonia!”.
Ministro Cancellieri: “Rischio per problemi di ordine pubblico”
“Rischio notevoli per l’ordine pubblico”. Il ministro degli interni Anna Maria Cancellieri lo ha detto chiaramente: la chiusura dell’impianto di Taranto potrebbe essere una bomba pronta ad esplodere in disordini di piazza. Il ministro è sicuro: “Il rischio c’è – ha detto a margine di un convegno – ed è anche notevole”.
Camusso: “Su Ilva decisione sbagliata”