Reparti di oncologia a rischio estinzione per colpa della spending review. Sono in pericolo “un terzo delle realtà ospedaliere di oncologia medica in Italia, che prevediamo risulteranno in qualche modo indebolite”. E’ questa la stima di Roberto Labianca, presidente di Cipomo (Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri), sentito dall’Adnkronos Salute in occasione di un incontro organizzato a Milano. L’associazione, che rappresenta circa 200 primari oncologi medici in forze negli ospedali italiani, ha voluto illustrare le preoccupazioni della categoria nell’attuale momento di crisi. “Si rischia di curare peggio i pazienti, per giunta spendendo di più o comunque spendendo male”, è l’allarme di Labianca.
Un Sos condiviso da Alberto Scanni, past president Cipomo, e da Gianni Bonadonna, primario emerito dell’Istituto nazionale tumori di Milano, autore di libri sull’essere medico e insieme paziente, e celebre in tutto il mondo tanto da avere un premio che porta il suo nome: il ‘Gianni Bonadonna Breast Cancer Award and Lecture’, istituito nel 2007 dall’Asco, la Società americana di oncologia clinica. “In Italia esiste ancora carenza di divisioni di oncologia in molti centri ospedalieri – scrive Bonadonna nel suo ultimo libro – . La ragione è semplice: sono ancora troppe le forze che si oppongono alla loro istituzione. Queste carenze ricadono purtroppo sui pazienti”, e a detta degli esperti sembrano destinate ad aggravarsi. Attraverso un questionario ad hoc, Cipomo ha cercato dunque di fotografare la situazione attuale dei dipartimenti oncologici nelle Regioni italiane. “Abbiamo raccolto il disagio dei dirigenti delle oncologie italiane”, spiega Labianca. E quello che emerge sono “situazioni preoccupanti, disomogenee l’una dall’altra”.
Tra tutti spicca per esempio il “caso emblematico” dell’ospedale di Mantova: “Il primario di oncologia medica è andato in pensione un anno fa circa, e da allora non è ancora stato sostituito”, segnala il presidente Cipomo. Di fatto “l’Oncologia medica è sparita, ‘risucchiata’ dal Dipartimento di medicina, con un direttore che non è un oncologo”. Non si tratta di un problema corporativo”, tiene a puntualizzare Labianca. La questione è che, “soprattutto in un momento in cui l’oncologia continua a fare grandi progressi, dispone di strumenti sempre più sofisticati e di farmaci innovativi via via più efficaci, ma anche più costosi, affidare la gestione di questa disciplina a un non oncologo comporta dei rischi: innanzitutto per il paziente e poi per le casse del servizio sanitario, visto che in questo periodo si parla tanto di necessità di contenere i costi. L’organizzazione ha infatti delle ripercussioni anche sull’appropriatezza delle cure erogate, quindi sulla loro sostenibilità”, evidenzia il presidente di Cipomo. “Solo un esperto può garantire al paziente la cura migliore, e al sistema la spesa più appropriata”.
Primari che vanno in pensione e non vengono sostituiti; reparti di oncologia medica accorpati tra loro, o che da unità complesse diventano unità semplici sotto il governo dei reparti di medicina interna; dipartimenti in calo. Questa l’istantanea scattata da Cipomo in base ai dati dei questionari riconsegnati, relativi per ora in particolare a Piemonte, Liguria, Toscana, Calabria e Lazio dove viene segnalata nello specifico la mancanza di risorse adeguate. Ma la situazione rischia di peggiorare anche nella ‘virtuosa’ Lombardia: “Anche qui dobbiamo stare attenti – ammonisce Labianca – I Poa, Piani organizzativi aziendali, sono in corso di valutazione in Regione, ma la sensazione è che qualche dipartimento sarà ridimensionato”. Dall’indagine del Cipomo “si evincono chiaramente due aspetti: la mancanza di risorse economiche finalizzate all’oncologia e la volontà politica orientata verso le ‘Medicine’ – rileva il presidente dei primari – con il risultato di far ritornare l’oncologia a 50 anni fa, relegata in un angolo di qualche reparto medico”.
“L’oncologia – incalza Labianca – viene evidentemente considerata economicamente troppo onerosa, quando non sono né i medici né le discipline che costano, bensì il tipo di cura, l’acquisto di farmaci, la ricerca, la formazione di personale specializzato. L’oncologia ha bisogno di risorse economiche, perché tutela un percorso di cura e di assistenza che la medicina generale o la chirurgia non garantiscono”. Due i messaggi, secondo il presidente di Cipomo. Il primo è che, “se l’oncologia medica sparisce, chi ne subirà le conseguenze non è certo l’oncologo (non stiamo cercando di tutelare posti di lavoro e ruoli), ma il paziente che non avrà più un trattamento individuale e personalizzato e rischia di venire abbandonato in iter burocratici, logistici e di cura a livelli non più innovativi, poichè l’internista o il chirurgo non hanno risorse e tempo per dedicarsi alle sperimentazioni. Secondo: è necessario trovare un percorso che sia propositivo per salvare non solo l’oncologia, ma la ricerca e la garanzia di offrire ai pazienti un’assistenza che non lascia spazio a incertezze”. C’è infine un’ultima eventualità che, secondo lo specialista, le Istituzioni dovrebbero prevenire: “Il rischio che, oltre ai ‘cervelli’, possano emigrare anche all’estero anche i malati”, specie in vista dell’entrata in vigore nel 2013 della direttiva comunitaria sulla libera circolazione dei pazienti in Ue. Il pericolo è di un’’emorragia’ di pazienti “verso Paesi che non sono superiori in qualità alla nostra oncologia medica”. “Mi sembra una politica stupida e insensata”, chiosa Labianca.