“Quest’anno per la prima volta gli spettatori non entreranno dall’entrata secondaria ma dall’ingresso principale dell’istituto, attraversando i corridoi e il chiostro dove i ragazzi vivono la loro giornata. È un fatto simbolico importante” Nelle parole di Paolo Billi, regista della Compagnia del Pratello formata dai giovani reclusi nel carcere minorile di Bologna, senti la voglia di lasciarsi alle spalle mesi e anni difficili delle inchieste su violenze e abusi, delle ispezioni, dei cambi di direttore e personale, delle polemiche. “Molti mi hanno chiesto se mi sono accorto di qualcosa, che ne penso: preferisco non rispondere però tra le pieghe dello spettacolo ho giocato una metafora su quello che è successo. Ora c’è un grande sforzo di ricostruzione a cui partecipiamo anche noi, con pieno sostegno da parte della nuova direzione. E allo spettacolo partecipano 13 ragazzi sui 19 che sono ospiti dell’Istituto”.
Danzando Zarathustra, quattordicesimo lavoro della Compagnia del Pratello, prende spunto da alcuni scritti di Nietzsche. Non è un po’ troppo per degli adolescenti carcerati?
“Penso che quando stai in un luogo di sofferenza come il minorile devi alzare l’asticella, non abbassarla, perciò abbiamo scelto, come spunto, le pagine di Zarathustra sulla danza e sul ridere”.
E che reazioni hanno avuto, che cosa hanno tirato fuori?
“Insieme ai ragazzi abbiamo passato ore e ore semplicemente a leggere e capire il testo. Non mi chiedevano nemmeno una pausa per la sigaretta. Poi abbiamo fatto un lavoro di traduzione corporea del testo che affrontavamo, perché nel carcere, dove il corpo è più costretto, proprio con il corpo bisogna venire fuori”.
Come hanno partecipato i ragazzi alla creazione dello spettacolo?
“Ci sono stati laboratori in cui i ragazzi hanno tradotto in movimento e scrittura gli spunti che venivano dagli aforismi di Nietszche. Con gli anni si è messo a punto un metodo, una maieutica, per tirare fuori da loro immagini vitali, non accontentarsi delle prime cose che affiorano, che spesso sono luoghi comuni, ma trovare cosa c’è sotto. Bisogna evitare lo spirito di chi entra in questi luoghi con la curiosità del diverso, con il voyeurismo. Per cui poi qui dentro si dice a un ragazzo ‘che bravo, poverino’, ma se lo si incontra fuori, in strada, si ha paura e lo si insulta. Questo è il potere incredibile che ha una soglia. Comunque qua non ci sono delinquenti, ma casi sociali, ragazzi sfortunati, soli”.
I teatri in carcere sono ormai una realtà importante e diffusa. Com’è la situazione in Emilia-Romagna? E, per curiosità, che effetto ti ha fatto vedere il film dei Taviani?
“Esiste un coordinamento regionale di otto realtà, collegato a altre esperienze, per esempio a Milano, Bari, Palermo, con cui abbiamo anche fatto progetti europei. Il problema è avere visibilità al di fuori delle città di appartenenza e del mondo degli addetti ai lavori. Quanto al film, è un bel film dei Taviani, ma non bisogna cadere nell’equivoco, davvero fastidioso, di scambiarlo per un documentario sul teatro in carcere”.
Danzando Zarathustra, ambientato tra realtà e immaginazione tra le fondamenta in rovina di un convento, un labirinto in cui commedianti, profeti, funamboli, pellegrini e vagabondi si incontrano tra contese e fascinazioni fino a celebrare la nietszcheana Festa dell’Asino, sarà in scena al Teatro dell’Istituto Penale minorile di Bologna dal 30 novembre al 15 dicembre (ore 21, domenica ore 16, lunedì riposo), ingresso da Via De Marchi 5/2.
La prenotazione è obbligatoria con quattro giorni feriali di anticipo (l’ingresso è infatti subordinato al permesso dell’autorità giudiziaria) presso il Teatro del Pratello telefonando allo 051 0455830 lunedì e mercoledì dalle 15 alle 17, martedì e giovedì dalle 10 alle 12 oppure via mail all’indirizzo prenotazioni@teatrodelpratello.it