Nei due articoli del provvedimento prevista la trasformazione dell'Aia in dl, la continuazione della produzione industriale e il controllo della situazione ad opera dell'azienda e del Tar. Superato il lavoro della magistratura, che a questo punto potrebbe ricorrere alla Consulta sollevando un conflitto di poteri
Un decreto legge. Due articoli. Molti dubbi. Il provvedimento ‘ad Ilvam‘ in via di approvazione per consentire di risolvere la situazione del siderurgico di Taranto apre il campo a scenari inediti che coinvolgono il rapporto tra potere legislativo e giudiziario. Il conflitto è nelle parole utilizzate della bozza del dl. Che di fatto, col via libera del parlamento, renderà legge l’Autorizzazione Integrata Ambientale per 24 mesi, autorizzando “in ogni caso la prosecuzione dell’attività” per tutta la durata stabilita, “salvo che sia riscontrata l’inosservanza anche ad una sola delle prescrizioni impartite nel provvedimento stesso”. L’esatto opposto di quanto previsto dalla Procura ionica, che il 26 agosto aveva sequestrato gli impianti senza facoltà d’uso, un paio di settimane fa aveva impedito all’azienda l’approvvigionamento di materia prima e lunedì scorso aveva sequestrato i ‘prodotti finiti’ dell’Ilva. Lamiere e lavorati d’acciaio “illegali” perché prodotti nonostante il sequestro e, come ha scritto il gip nella sua ordinanza, “sulla pelle dei tarantini”. Perché l’Ilva, quando produce, inquina. E uccide.
L’esempio lampante è rappresentato dalla questione dei parchi minerali, le cui polveri ammorbano i quartieri limitrofi ad ogni soffio di vento. I custodi tecnici nominati dal gip hanno impedito all’azienda di acquistare altra materia prima, limitando in tal senso la dispersione nell’aria dei veleni. Con l’entrata in vigore dell’Aia, invece, il blocco non ci sarà più e le montagne dei parchi continueranno ad ingrandirsi. Con tutto quello che comporta. E, soprattutto, per almeno i 24 mesi di durata del decreto. Ma c’è dell’altro. Detto del ‘rischio scavalco’ all’articolo 32 della Costituzione (il diritto alla salute), viene messa in dubbio anche l’obbligatorietà dell’azione penale dei pm, che per decreto non potrebbero più intervenire qualora all’interno del siderurgico si verificassero violazioni delle norme ambientali.
Eppure il governo a questo non ha badato: è andato oltre il lavoro della magistratura, di fatto superandola. E rendendo pressocché inutili i provvedimenti di sequestro. Due articoli, si diceva, che secondo quanto riferito dal ministro Corrado Clini diventeranno “subito operativi”. Nel primo si stabilisce che “per 24 mesi, a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto”, l’autorizzazione integrata ambientale è “da considerarsi parte integrante del presente decreto, esplica in ogni caso effetto”. Quindi, come diretta conseguenza, “nei limiti consentiti dal provvedimento”, “è in ogni caso autorizzata la prosecuzione dell’attività nello stabilimento salvo che sia riscontrata l’inosservanza anche ad una sola delle prescrizioni impartite nel provvedimento stesso”. Tradotto: l’Ilva potrà produrre fino a novembre 2015 a patto di rispettare le prescrizioni dell’Aia.
Nel secondo articolo, invece, è specificato sia a chi spetta il controllo della produzione industriale, sia il rispetto dell’attività di bonifica previste nell’Aia. Durante i 24 mesi indicati, infatti,”la responsabilità della conduzione degli impianti dello stabilimento resta, anche ai fini dell’osservanza di ogni obbligo, di legge o disposto in via amministrativa, inerente il controllo delle emissioni, imputabile esclusivamente all’impresa titolare dell’autorizzazione all’esercizio degli stessi sotto il controllo dell’autorità amministrativa competente”. Ovvero all’Ilva stessa con il controllo del Tar. Alla scadenza dei due anni, poi, “previa verifica dell’integrale osservanza degli obblighi”, l’Autorità amministrativa competente (quindi ancora il Tar, ndr) procede “entro 15 giorni alla conferma o alla revoca del provvedimento di autorizzazione integrata ambientale”, con “ogni conseguenza prevista dalla normativa di legge”.
Nei fatti, se la bozza trovasse conferma, il sequestro della magistratura sarebbe superato. Quindi inapplicabile. Quindi inutile. Difficile, a questo punto, che non si crei un conflitto di poteri dall’esito tutt’altro che scontato. Alcune misure disposte dai custodi giudiziari, ad esempio, si scontrano in tutto e per tutto con l’Aia, come ad esempio il divieto di approvvigionamento delle materia prima da parte dell’Ilva. Il discorso è semplice. Secondo gli esperti, una delle criticità ambientali è rappresentata dal parco minerali, le cui montagne di polveri vengono disperse nell’ambiente dagli agenti atmosferici. Anche per questo motivo, oltre che per fermare la produzione industriale, i custodi tecnici bloccarono l’acquisto di nuove materie prima. Ora, con l’entrata in vigore dell’Aia, l’Ilva potrà tranquillamente tornare a comprare ferro ed altri minerali, che il vento puntualmente farà volare sui quartieri Tamburi e Paolo VI. E lo farà almeno per due anni, visto che l’Aia impone all’Ilva di risolvere il problema delle polveri sottili entro il 2014. A prescindere dalle reali possibilità di rispettare tale scadenza, sul campo rimangono altri cortocircuiti. Con l’attuazione dell’Aia, infatti, verranno rimossi i custodi giudiziari nominati dal gip, visto che il controllo di tutto spetterà ai vertici dell’azienda. Peccato, però, che quasi tutti i massimi dirigenti siano costretti agli arresti domiciliari.
Alla magistratura, ora, tocca decidere se fare ricorso alla Consulta (perché si tratterebbe di un conflitto di poteri) oppure no, magari accontentandosi di una vittoria di Pirro. Clini, infatti, ha sempre detto che per risolvere la questione dell’Ilva sarebbe bastata l’Autorizzazione integrata ambientale: ha avuto torto, tanto che il governo ha dovuto ricorrere al decreto legge.