Papa e Giovanni (XXIII) – citazione di Pier Luigi Bersani – dovrà gareggiare anche con Bob Kennedy, arruolato da Matteo Renzi, che ne imita lo stile lineare e affabulante: camicia bianca, cravatta scura, abito avvitato. E poi la correzione contemporanea: prima di parlare, il sindaco di Firenze arrotola le maniche per cancellare l’espressione da impiegato in banca, dicono i suoi allenatori mediatici rimarcando il rispetto per l’impiegato in banca. Bersani è volontariamente involontario: vuole apparire sobriamente trasandato e mostra un unico (eterno) simbolo, la cravatta rossa. Il duello, stasera in diretta su Rai1, è l’ultima corsa di Renzi che per recuperare gioca su due tempi: prima vuole rassicurare gli elettori più distanti da sé, quelli di sinistra, e lo farà smentendo chi lo tratta come ospite nel Pd (Rosy Bindi); poi vuole attrarre gli orfani di centro con formule efficaci e in verve berlusconiana. Ricordate l’abolizione dell’Ici spiattellata dal Cavaliere durante il confronto con Romano Prodi? La tattica, in sintesi: Renzi staziona in mezzo al campo e, in chiusura di cronometro, sferra l’attacco. A quel punto, Bersani, dovrà ripassare la chiacchierata con il biografo (e storico) Miguel Gotor, che ascolta mentre beve una birra e fuma il sigaro per sotterrare la tensione prima di andare in video.
Renzi sarà in ritiro spirituale in un albergo romano, telefonino a portata di mano per ricevere gli ultimi suggerimenti del regista Fausto Brizzi, che esamina le riprese di Giuseppe Petitto, suo collaboratore, dislocato sui camper del sindaco. Bersani chiacchiera spesso con il portavoce, Stefano Di Traglia e con i responsabili per la campagna elettorale, soprattutto con Alessandra Moretti. La strategia del segretario è riassunta in un mantra che anche stasera dovrà ripetere a Rai1, davanti a svariati milioni di telespettatori: “Non voglio piacere, vi chiedo solo di credermi”. Bersani vuole tratteggiare il profilo di un politico esperto e sincero, che non nasconde gli errori passati e non teme il futuro al governo: perché lui, insistono dal comitato, deve dialogare con il paese. Anche il segretario cerca la rottura con l’esecutivo di Mario Monti, ma non per stracciare la cosiddetta agenda del professore, quanto per spiegare che lui, un’agenda, già la possiede. E le qualità migliori, che il completo in tono serale dovrà suggellare, sono l’affidabilità e le competenze. I segugi di Renzi, che filtrano le notizie dai giornali e vogliono testare Bersani sui fatti quotidiani e meno recenti, insistono con le differenze. Il riepilogo: noi siamo quelli che rompono con i politici consumati nei palazzi di Roma, noi siamo quelli senza scheletri nell’armadio (il rapporto di Bersani con la famiglia Riva, Ilva), noi siamo quelli che arginano il populismo e la demagogia di Beppe Grillo. E così, per reagire, lo spogliatoio di Bersani invoca un tratto più nazional popolare: dal palco di Rai1, pensano, sarà fondamentale dare un paio di frustate a quelli che difendono la casta, quelli che non vogliono ridurre i parlamentari, quelli che pretendono sacrifici e conservano i privilegi. Il segretario dovrà inserire nei discorsi, come premessa e subordinata, come spinta e frenata, l’assioma magico è “un momento difficile”.
E che accade nei “momenti difficili”? Vanno in soccorso i politici navigati con gli strumenti adatti per disinnescare il “disastro”. Bersani preferisce, per ragioni stilistiche, porsi come l’uomo ideale per curare l’Italia malata; mentre Renzi, per questioni anagrafiche di natura pop, vuole entusiasmare l’Italia vivace. Al segretario va bene un pareggio giocando con orgoglio, Renzi partirà con l’atteggiamento di chi vuole impattare il risultato e poi proverà l’offensiva: con il rischio di vincere in goleada o di perdere malamente. Quelli di Bersani dicono di “stare calmi perché la partita è chiusa”. Quelli di Renzi dicono di “stare allerta perché ci sarà la sorpresa”. Arbitra, la giornalista Monica Maggioni. Fischiano o applaudono, gli italiani.
Il Fatto Quotidiano, 28 Novembre 2012