Prima un bambino ferito alla testa da una manganellata, poi una dura carica della polizia che spara proiettili di gomma sui manifestanti. Senza contare, nel corso dell’ultimo anno, centinaia di arresti e decine di episodi di violenza nell’indignata Puerta del Sol. La Spagna non dorme più sonni sereni. E non solo per la crisi economica che stritola le famiglie e rovina le casse pubbliche. “C’è una tendenza a limitare l’opinione pubblica”, confessa preoccupato Diego Valderas, coordinatore generale di Izquierda Unida, pronto a chiedere conto e ragione dell’ultima incresciosa vicenda al ministro degli Interni. Accade a Siviglia, sabato scorso. Una giovane reporter dell’emittente laSexta Noticias è stata arrestata, insieme ad altre quattro persone, con l’accusa di oltraggio a pubblico ufficiale. “In otto anni di professione non ho mai vissuto una situazione del genere. Mi hanno tolto la telecamera e mi hanno costretta a salire sul furgoncino della polizia”, ha spiegato indignata Ana García, dopo 20 ore di detenzione che nessun organo istituzionale riesce ancora a spiegare.

Un fatto che avviene in coincidenza con la proposta avanzata dal ministero degli Interni: modificare la legge sulla sicurezza cittadina con l’intenzione di proibire “la cattura, la riproduzione o il trattamento di immagini, suoni e dati degli ufficiali di pubblica sicurezza nell’esercizio delle loro funzioni”. La freelance de laSexta stava seguendo una marcia di protesta per il diritto alla casa, organizzata da diversi collettivi locali. Una manifestazione che dal parlamento andaluso si era spostata sotto un palazzone vuoto, occupato due giorni prima da 18 famiglie sfrattate. Nella calle Lumbreras, all’arrivo della polizia, però tutto è cambiato.

“Ho visto perfettamente come picchiavano una signora col sacchetto della spesa in mano”, racconta la reporter. Uno degli agenti le ha chiesto un documento di riconoscimento, “ma quando mi ha ordinato di dargli la telecamera ho detto di no”. Poco dopo un altro poliziotto è tornato per identificarla, ma la sua carta d’identità era ancora nelle mani dell’altro agente. Allora le ha strappato la telecamera e l’ha fatta salire sul cellulare. In questura, mentre le sequestravano la cassetta, la giornalista racconta di aver pensato che si trattasse di un semplice accertamento. Ma poco dopo si è ritrovata agli arresti per “disobbedienza, oltraggio a pubblico ufficiale, lesioni e occupazione”, anche se lei ripete di non aver mai messo piede in quel palazzo e ancor meno di aver arrecato danni a oggetti e persone. Ana García ha passato la notte in cella. È stata liberata solo a mezzogiorno del giorno dopo, quando le accuse a suo carico sono state inoltrate alla Procura. E la Federazione delle associazioni di giornalisti spagnoli (Fape), insieme al sindacato dei giornalisti dell’Andalusia, ha reclamato una “riunione urgente” col governo di Madrid per chiarire la vicenda.

“Sono stati violati in maniera pericolosa e inaccettabile la libertà di stampa e il diritto d’informazione”, ha detto senza mezzi termini Elsa González, presidente della Fape. La versione del governo però contrasta totalmente con il racconto della reporter e dei testimoni presenti: “Non è stato possibile identificarla come giornalista e la donna non ha mai mostrato un documento di riconoscimento nel luogo dei fatti”, ha assicurato la sottodelegata agli Interni Carmen Crespo. Il progetto di riforma annunciato a ottobre dal direttore generale della polizia spagnola Ignacio Cosidó non si è ancora materializzato. Ma proprio questo potrebbe alimentare i sospetti che dietro i cinque capi d’imputazione ci possa essere una chiara volontà di impedire la diffusione delle immagini che Ana García ha registrato. Frattanto un centinaio di giornalisti ha trascorso parte della notte davanti al Tribunale di Siviglia, a sostegno della reporter andalusa.

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