Il decreto ‘ad Ilvam’ ci sarà. Domani. Lo ha detto Mario Monti, lo ha deciso il governo. Perché l’acciaio è di fondamentale importanza per il manifatturiero di casa nostra; perché non si possono lasciare senza lavoro 20mila operai tra Taranto, Genova e le altre fabbriche collegate; perché con il blocco del siderurgico si infliggerebbe un colpo mortale anche ad altri settori del made in Italy, prima fra tutte l’industria automobilistica. Quindi la Fiat. La situazione è risolta. Nel nome della sopravvivenza e a prescindere dalle responsabilità, che non sono soltanto penali ma anche e soprattutto ‘storiche’. L’Ilva e ancor prima l’Italsider hanno avvelenato per decenni: le istituzioni lo sapevano benissimo, ma hanno preferito nascondere la polvere sotto al tappeto, facendo finta di nulla e lasciando in eredità la bomba siderurgica su chi sarebbe arrivato dopo. Cavoli loro. Lo dimostra il ‘sistema Archinà’, lo confermano i legami che l’azienda aveva instaurato con ogni livello della società. Chiesa, sindacati, stampa e amministratori locali: tutti insieme appassionatamente. Poi sono arrivati gli ‘eversori’: i pm e i giudici, che hanno dovuto supplire alle mancanze di chi doveva vigilare e ha preferito non farlo. Hanno fatto rispettare la legge, al loro fianco ‘solo’ le migliaia di cittadini presenti ai processi. Loro non si sono più fidati di tv e giornali contaminati dai ‘rapporti istituzionali’ dell’Ilva. Si sono informati sulla Rete e hanno scelto da che parte stare. In massa. A Taranto non era mai avvenuto in decenni di inchieste. Risultato? Il lavoro degli inquirenti ha messo in crisi tutto il settore dell’acciaio.
E’ questione di Stato: tocca al governo dei professori sbrogliare la matassa. Miracolo tecnico e voilà il decreto. I ministri sono soddisfatti. La politica tutta è in festa. L’Ilva può riprendere la produzione. Il siderurgico può tornare a uccidere i tarantini. E sì, perché se è vero che l’Aia (divenuta legge per dl) impone i parametri per la bonifica, è altrettanto vero che i provvedimenti della Procura (uno su tutti: il blocco dell’acquisto di materie prime) avevano un effetto immediato sull’inquinamento. Già, il tempo. Un concetto che il governo ha dimostrato di avere ben presente nell’adozione del decreto, ma che ha dimenticato quando si è trattato di pensare alla salute dei cittadini. Anzi, il diritto alla salute dei cittadini, l’articolo 32 della Costituzione. Superato per dl. Come è stata superata l’obbligatorietà dell’azione penale dei pm in caso di reati ambientali all’interno dello stabilimento. La gestione della situazione, infatti, spetterà all’azienda stessa sotto il controllo del Tar. Quindi la procura non potrà far nulla. Esautorata. Ora, a meno che i magistrati tarantini non decidano di ricorrere alla Consulta per risolvere il palese conflitto dei poteri, il caso Ilva è ‘rattoppato’ almeno per i prossimi 24 mesi. E poi? Se l’azienda non ha rispettato gli impegni presi e quindi l’Aia? A vedersi. Ci penserà chi arriverà dopo. Cavoli loro. Macchine in moto. L’Ilva respira. Taranto no. Per decreto.