Una messa cantata, in puro stile Rai-Tg1, seguita da oltre 6,5 milioni di spettatori con uno share 22.85%, forse ha spostato qualcosa, ma più probabilmente no. A poche ore, ormai, dal ballottaggio, lo scontro Renzi-Bersani su Raiuno non ha regalato alcun colpo di scena (leggi il confronto tra i programmi dei due candidati). Tutto già sentito, tutto già detto. Tempi serrati, ricette diverse, molti punti di convergenza e ancora una volta distanze siderali e scintille soprattutto sulle alleanze.
Il tema che ha ancora una volta diviso, in modo strategico, i due contendenti delle primarie del centrosinistra, sono state le alleanze per il dopo voto. Porte aperte per Bersani a Nichi Vendola e Pier Ferdinando Casini, strada sbarrata ad entrambi per Matteo Renzi. Su questo tema gli animi si sono surriscaldati, ma in fondo sono stati solo due i momenti di scontro effettivo tra il “vecchio” segretario del Pd e il “giovane” aspirante ora alla leadership del centrosinistra, più concretamente domani vero concorrente alla segreteria del Pd. E, infatti, ieri sera, Matteo Renzi ha parlato in più occasioni da “segretario” del partito, incalzando Bersani su alcuni fronti “scoperti” per chi, come il leader Pd, è stato troppi anni tra i palazzi e il governo del Paese per non avere punti deboli.
Come quando Renzi lo ha incalzato su una ferita antica, che il Pd (anzi, i Ds, all’epoca con D’Alema) non vollero risolvere: “Dobbiamo dire che nei primi cento giorni si fa una norma contro il conflitto d’interessi”, ha colpito Renzi. E, ancora:”Non basta dire dimezzare il finanziamento pubblico ai partiti, bisogna abolirlo”, con buona pace di Ugo Sposetti, tesoriere storico del Nazareno e anti renziano convinto che della legge sul finanziamento è il padre naturale. Infine: “Non c’è un problema Sud, c’è un problema Italia: serve deburocratizzazione, uscire dal circolo vizioso del conoscere qualcuno e della raccomandazione, la mancanza di investimento su chi ha un’idea”. “Il Sud – ha aggiunto Renzi – è il luogo sul quale si gioca la nostra sfida: o siamo in grado di semplificare, di liberarlo dai soliti noti di una classe dirigente a volte discutibile, o non andremo da nessuna parte”.
E ancora, sul nervo scoperto dell’evasione fiscale: “Avevo i calzoni corti – ha aggiunto Renzi – quando sentivo parlare di evasione fiscale e continuo a sentire che siamo il Paese con la più alta evasione fiscale, ma è stato un errore aver messo le ganasce di Equitalia agli artigiani”. Ecco, sul fisco, il primo – e forse unico – vero scontro tra i due contendenti, dove il segretario, in qualche modo, è andato sotto. ”Equitalia, chiarisco a Matteo, non l’abbiamo inventata noi”, ha tentato di replicare Bersani, ma il sindaco di Firenze ha avuto un guizzo: ”Non ho detto – la controreplica di Renzi – che l’abbiamo inventata noi, ma che su quello non siamo stati all’altezza”. ”Sei stato – ecco l’affondo del sindaco al segretario Pd – 2.547 giorni al governo e dico questo perché è necessario fare un passo avanti”. ”Nessuno è perfetto”, ha chiosato il segretario (i lettori di ilfattoquotidiano.it possono ancora partecipare al fact-checking, il controllo della veridicità delle affermazioni dei due esponenti politici).
Difficile, alla fine, dire chi abbia vinto e chi perso, ma di certo il confronto Rai non ha spostato la convinzione di chi vede in Renzi un politico troppo simile al Berlusconi dei primi momenti e chi, in Bersani, coglie sempre insistenti le ombre dell’apparato che il giovane sindaco vorrebbe “rottamare” e che, invece, rischiamo di ritrovarci nel prossimo governo. Casomai guidato da Bersani, ma con Monti super ministro dell’Economia. La partita, a parte il match tv, si sposta ora nelle urne. E Bersani dovrà vincere di parecchio se non vorrà trovarsi, già da subito, un Matteo Renzi a capo di una corrente interna al Pd capace di creare non pochi problemi non solo alla leadership, ma anche alla linea politica del partito.
Le unghie, Matteo Renzi le ha comunque mostrate anche ieri in diretta tv: “Quando siamo andati da soli l’ultima volta (al governo, ndr) avrà pure vinto Berlusconi, ma quando abbiamo fatto le grandi alleanze c’è sempre stato qualcuno degli alleati che ci ha fatto cadere; a furia di tenere tutti insieme si finisce come l’Unione e spero tu apprezzi lealtà con cui ti diciamo in faccia le cose. Tu hai tanti che ti dicono sì perché sperano di essere retribuiti con un posto”, ha incalzato Renzi che ‘in faccia’ ha detto a Bersani: “Se noi vinciamo non vorrei che ci rimandano a casa un’altra volta dopo due anni perché ci si è messi a discutere tra chi l’agenda Monti la vuole e chi no. Ecco le primarie servono per dire prima, le cose che si vogliono fare. E io le ho in mente chiarissime”.
Battute che prefigurano un prossimo scontro interno al Pd senza esclusione di colpi. Che presumibilmente partirà nel momento in cui sarà anche certa la vittoria del Pd nelle urne delle politiche. Soprattutto sulle alleanze. L’assaggio si è avuto sempre ieri sera, quando – forse per la prima volta – sono uscite le vere distanze sui nodi politici: “Io spero – ha detto Renzi, velenoso – che nel ‘pacchetto Casini’ non ci sia anche Fini perché ci si è dimenticati di tutte le cose che fatto in questi anni. Comunque la Bossi-Fini è da cambiare alla svelta”.
Si dovrà aspettare un po’, ma lo scontro interno tra i due sarà inevitabile. Perché Renzi ci tornerà ancora spesso su quello che è stato il leit motiv della sua campagna: il taglio dei vitalizi e dei costi della politica. E dei finanziamenti ai partiti. D’accordo su quasi tutto Bersani, tranne che sui fondi alla politica. “Da Clistene a Pericle, in Grecia decisero che in democrazia la politica prendeva un sostegno pubblico”, ha ricordato, “non mi rassegno che la politica la possano far solo i ricchi…”. Tagliente la replica di Renzi: “Ho rispetto per Bersani, ma passare da Pericle a Fiorito…”.
Scudisciate taglienti. Anche se ieri, guardandoli muoversi a pochi minuti dall’inizio del match televisivo, Renzi e Bersani sono apparsi sì tesi, ma fondamentalmente complici. Appena arrivati (all’ultimo minuto, il traffico della Capitale annegata dalla pioggia è stata fatale anche per loro) si sono stretti subito la mano, all’insegna del fair play. “Fatemi stringere la mano a Pier Luigi – ha detto Renzi – dammi la mano segretario..”. Quindi un breve colloquio dentro la saletta degli ospiti, durato lunghissimi cinque minuti, poi di corsa nella sala del trucco. Poco prima dell’inizio, la conduttrice Monica Maggioni ha tirato una monetina davanti agli staff per scegliere chi avrebbe avuto la prima battuta e a chi sarebbe toccata la conclusione; la sorte ha baciato Renzi per l’inizio, a Bersani è toccato l’onere di chiudere.
Alla Dear, luogo di studi Rai e trasmissioni d’intrattenimento, ieri sera c’era la folla delle grandi occasioni. Il capo della produzione, Andrea Lorusso Caputi, ha fatto da cicerone agli staff dentro lo studio, quello di solito destinato a Domenica in, mentre il direttore del Tg1, Alberto Maccari (ancora per un giorno, oggi verrà nominato il suo successore, Mario Orfeo) indossava gli abiti di padrone di casa. Più emozionati dei duellanti, a dire il vero, gli ottanta giovani (quaranta per Renzi, quaranta per Bersani) chiamati a fare da pubblico. E che hanno applaudito con convinzione non appena è entrato Renzi in studio. Già, il sindaco di Firenze, più a suo agio di Bersani negli studi tv e vero “divo” negli studi Rai. La cosa che non è stata gradita dai tecnici di studio è stata casomai la sua camicia; il bianco “spara” in tv, molto più della giacca d’ordinanza del segretario Pd. Una differenza d’abbigliamento voluta fermamente dallo spin doctor Giorgio Gori (che ieri sera, però, non c’era) perché a suo dire “marca la differenza tra un vecchio e un giovane”. E, soprattutto, fa tanto Obama.
Sottigliezze da “maghi” della comunicazione, che chissà quanto conteranno, domenica, nell’urna. Ieri sera, quella “maniche di camicia” di Renzi sono sembrate fuori luogo un po’ a tutti. Visto anche il freddo che faceva. Ma come ha detto giustamente lo stesso Renzi nella domanda “colpo di pistola finale” di ieri sera, quello che lo divide da Bersani è “un’idea di futuro”. “Negli ultimi vent’anni – ha chiuso il sindaco di Firenze – la classe politica del partito non ha scritto una pagina di futuro”. Su questo, non gli si può dar torto…
Aggiornato dalla redazione web alle 10,45