Maicol ha 11 anni e non ha mai conosciuto suo padre. Vive a Milano con sua mamma Rossana, giovanissima e tossicodipendente. Alessandro è un educatore che segue Maicol nel suo percorso di crescita e sostiene Rossana nel suo ruolo genitoriale. Da oggi potrebbe non essere più al loro fianco.
Amina ha 3 mesi. Alla sua nascita i suoi genitori non l’hanno riconosciuta a causa della sua patologia. Amina andrà in adozione, ma questo necessita di tempo. Aspettando il decreto del Tribunale per i Minorenni, una famiglia affidataria l’ha accolta garantendole adeguate cure, calore e benessere. Oggi il rischio è che tante bambine come Amina non vedano tutelati i loro diritti.
Questi sono solo due esempi che dimostrano, concretamente, cosa succede se tagliamo il welfare.
Per i giovani, i servizi per l’infanzia, la famiglia, la casa, la scuola e le politiche ‘assistenziali’ più in generale, l’Italia non spende troppo, come qualcuno vuol farci credere. Spende troppo poco.
Al netto della spesa previdenziale, infatti, la nostra è ben al disotto della media europea.
A causa dei tagli agli enti locali e alle regioni, alla sanità, alle politiche sociali, milioni di italiani rimarranno privi di adeguati servizi sociali o dovranno pagare maggiori tariffe per poterne usufruire. Ma da quando i diritti costituzionalmente garantiti si pagano a caro prezzo?
Se il Welfare prenderà definitivamente la direzione di una miope delega al privato (con forme di residualità a metà strada tra beneficienza e filantropia) ne deriverà un’economia sempre più rapace, lesiva dei diritti ed egoista. La coesione sociale si sfalderà e l’Italia sarà esposta – più di quanto non lo sia già – alle conseguenze sociali della crisi.
Ma come siamo arrivati a questo stadio? La crisi che stiamo vivendo rischia di giustificare qualunque taglio, anche quelli fatti con la mannaia. Attenzione! Le diseguaglianze economiche non sono la conseguenza della crisi. Ne sono la causa! Trent’anni di politiche neoliberiste hanno contribuito ad accrescere il divario tra i ‘molto ricchi’ e i ‘molto poveri’, pregiudicando possibilità di sviluppo.
Quindi non è tagliando il welfare che pareggeremo i conti ma ridistribuendo efficacemente il reddito e favorendo un ruolo più attivo dell’intervento pubblico capace di stimolare una nuova domanda di beni sociali e collettivi.
E’ tenendo bene a mente storie come quelle di Maicol e Amina, che in Italia sono migliaia, che chiediamo al governo di colpire le grandi ricchezze e favorire una redistribuzione del reddito a favore delle classi medio-basse. Vogliamo incoraggiare una maggiore coesione sociale e un senso di giustizia ed equità. Non sono forse queste le basi per una buona economia?
Per noi che concepiamo il welfare come un investimento e non come una spesa lo sono assolutamente. Un buon sistema di Welfare e una buona economia si sostengono a vicenda. Questo è quello che lo scorso 31 ottobre abbiamo chiesto al governo portando in piazza una manifestazione nazionale organizzata dalla rete ‘Cresce il Welfare, cresce l’Italia’.
Da nord a sud abbiamo voluto che risuonasse lo stesso messaggio: ‘Se le persone diventano un costo crolla il loro valore’. Il Governo avrà voglia di capirlo? Siamo disponibili a ripeterlo finché non sarà chiaro, perché siamo sempre pronti ad alzare la voce quando si parla di tutela dei diritti.
Ambrogio diceva: ‘felice il crollo se la ricostruzione farà più bello l’edificio’. E’ al ruolo di ricostruzione del welfare che il terzo settore vuole e deve poter contribuire perché questo diventi colonna portante. Occorre incoraggiare un’alleanza tra scuola, impresa e terzo settore per perseguire un disegno strategico imprenditoriale a favore di tutta la società”. Noi siamo pronti a vigilare perché sotto il crollo non ci rimanga un’intera generazione. E tu Governo?