L’attuale ordinamento internazionale mantiene, a oltre trecentocinquanta anni dai Trattati di Westfalia che, secondo la periodizzazione prevalente, ne segnano l’inizio, un carattere eminentemente statocentrico.
Ciò in certa misura induce a comprendere, ma non certo a giustificare, l’atteggiamento del procuratore presso la Corte penale internazionale, il quale rigettò a suo tempo il ricorso presentato dall’Autorità palestinese per il massacro operato dall’esercito israeliano, Tsahal, a Gaza con l’operazione cosiddetta Piombo Fuso, con la motivazione che la stessa Autorità non costituiva uno Stato.
Conseguenza di questa posizione, formalmente in certa misura valida, anche se sostanzialmente disastrosa, sarebbe che chiunque abbia l’interesse, la voglia e i mezzi per farlo, può massacrare i Palestinesi fino alla loro estinzione, tanto non hanno uno Stato che possa tutelarli, né dal punto di vista della potenza militare, né da quello della rappresentatività giuridica di fronte alle sedi internazionali deputate alla tutela dei diritti umani e del diritto umanitario, fra le quali appunto la Corte penale internazionale.
Il che ovviamente dimostra la profonda fallacia e iniquità della posizione assunta dal Procuratore di fronte a tale Corte. Ma dimostra pure la necessità e l’urgenza di costituire un soggetto che si faccia carico di questo compito storico.
La risoluzione adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha ammesso la Palestina come osservatore alle Nazioni Unite, costituisce un passo in questa direzione. L’ampiezza della maggioranza espressa (138 Stati a favore, 9 contrari e 41 astensioni) parla chiaro. Come pure chiari sono i contenuti della risoluzione adottata, che fanno riferimento ai confini del 1967.
Una volta tanto anche l’Italia ha fatto la cosa giusta. Anche se sussiste il dubbio che più delle sofferenze dei Palestinesi e della necessità di porre termine alle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele abbiano spinto a tale scelta le pressioni degli investitori del Golfo che il commesso viaggiatore Monti ha incontrato recentemente.
Abbiamo per altri aspetti assistito all’ennesima prova di malafede da parte di Stati Uniti ed Israele. A parole sostengono di volere lo Stato palestinese, nei fatti al massimo sono disponibili ad accettare alcuni Bantustan a competenza e sovranità limitata secondo l’esempio del Sudafrica che fu.
Per meglio dire, questa è con ogni evidenza la linea del governo di destra di Netanyahu, che infatti continua a costruire insediamenti coloniali nei territori occupati e ha tentato, sia pure maldestramente, la carta dell’attacco a Gaza che ha lasciato sul terreno oltre centocinquanta vittime.
Come la tregua raggiunta pochi giorni fa, sia pure con un costo umano (soprattutto Palestinese ma anche Israeliano) molto elevato, il voto delle Nazioni Unite rappresenta un chiaro segnale del mutamento dei rapporti di forza esistenti. Quest’ultimo d’altronde rappresenta un successo per l’attuale presidente palestinese Abu Mazen e la sua linea volta al negoziato. D’altronde è significativo che anche Hamas abbia appoggiato la risoluzione, in tal modo cominciando a procedere in modo implicito al riconoscimento di Israele.
Molti problemi restano aperti. A cominciare dal blocco di Gaza, su cui segnalo l’ottimo intervento di Eyal Weizman sulla London Review of Books, tradotto e pubblicato da Internazionale oggi in edicola, il quale giustamente conclude che “non ci sarà calma, finché non sarà smascherata, smantellata e distrutta l’architettura invisibile del dominio israeliano sui palestinesi”. O il problema delle migliaia di prigionieri palestinesi, molti dei quali minorenni, arbitrariamente segregati nelle carceri israeliane. O quello degli insediamenti, che vanno avanti, anche a mo’ di insensata rappresaglia contro il voto delle Nazioni Unite (ma probabilmente sarebbero stati realizzati comunque). O quello della giustizia sui crimini di guerra.
Ma si aprono anche delle soluzioni sul terreno legale. Come suggerito dal professor Francis Boyle, il riconoscimento della natura statuale della Palestina apre nuove strade di azione negli organismi giudiziari internazionali dalla Corte penale internazionale, alla Corte internazionale di giustizia, e per l’affermazione della propria piena sovranità sul mare, nel cielo e rispetto alle telecomunicazioni.
Certo la strada è ancora lunga e difficile da percorrere.
Obama deve finalmente smarcarsi dal soffocante abbraccio con Netanyahu, che produce il paradossale risultato della dipendenza della politica della massima potenza mondiale dalle scelte rovinosamente sbagliate e ingiuste della destra al potere in uno Stato in tutto e per tutto dipendente dagli Stati Uniti.
E soprattutto, i cittadini di Israele devono capire che le possibilità di un futuro di pacifica e fruttuosa convivenza con i vicini arabi è legato all’accettazione piena del principio “due popoli, due Stati” con tutto ciò che ne consegue. Come necessaria tappa transitoria verso un futuro necessariamente comune su di un territorio geograficamente poco esteso. Per questo devono liberarsi dell’attuale governo di destra che, con la sua politica, costituisce oggi il principale ostacolo alla pace in quest’area strategica del pianeta. E la principale minaccia per la sicurezza di Israele e di tutto il Medio Oriente e il Mediterraneo, Italia compresa.
Bisogna essere convinti del fatto che l’apertura di nuove strade di dialogo, anche a livello di società civile, e la fine dell’oppressione insopportabile di cui sono oggetto i Palestinesi possano contribuire a disinnescare tutte le posizioni oltranziste. Il ruolo della comunità internazionale, intesa sia come insieme di Stati che come consapevolezza dei popoli, può rivelarsi a tale fine decisivo.
Fu anche per effetto di tale ruolo che il Sudafrica razzista terminò la sua esistenza. Ci pensino bene gli Israeliani.
Fabio Marcelli
Giurista internazionale
Mondo - 1 Dicembre 2012
Benvenuta Palestina!
Ciò in certa misura induce a comprendere, ma non certo a giustificare, l’atteggiamento del procuratore presso la Corte penale internazionale, il quale rigettò a suo tempo il ricorso presentato dall’Autorità palestinese per il massacro operato dall’esercito israeliano, Tsahal, a Gaza con l’operazione cosiddetta Piombo Fuso, con la motivazione che la stessa Autorità non costituiva uno Stato.
Conseguenza di questa posizione, formalmente in certa misura valida, anche se sostanzialmente disastrosa, sarebbe che chiunque abbia l’interesse, la voglia e i mezzi per farlo, può massacrare i Palestinesi fino alla loro estinzione, tanto non hanno uno Stato che possa tutelarli, né dal punto di vista della potenza militare, né da quello della rappresentatività giuridica di fronte alle sedi internazionali deputate alla tutela dei diritti umani e del diritto umanitario, fra le quali appunto la Corte penale internazionale.
Il che ovviamente dimostra la profonda fallacia e iniquità della posizione assunta dal Procuratore di fronte a tale Corte. Ma dimostra pure la necessità e l’urgenza di costituire un soggetto che si faccia carico di questo compito storico.
La risoluzione adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha ammesso la Palestina come osservatore alle Nazioni Unite, costituisce un passo in questa direzione. L’ampiezza della maggioranza espressa (138 Stati a favore, 9 contrari e 41 astensioni) parla chiaro. Come pure chiari sono i contenuti della risoluzione adottata, che fanno riferimento ai confini del 1967.
Una volta tanto anche l’Italia ha fatto la cosa giusta. Anche se sussiste il dubbio che più delle sofferenze dei Palestinesi e della necessità di porre termine alle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele abbiano spinto a tale scelta le pressioni degli investitori del Golfo che il commesso viaggiatore Monti ha incontrato recentemente.
Abbiamo per altri aspetti assistito all’ennesima prova di malafede da parte di Stati Uniti ed Israele. A parole sostengono di volere lo Stato palestinese, nei fatti al massimo sono disponibili ad accettare alcuni Bantustan a competenza e sovranità limitata secondo l’esempio del Sudafrica che fu.
Per meglio dire, questa è con ogni evidenza la linea del governo di destra di Netanyahu, che infatti continua a costruire insediamenti coloniali nei territori occupati e ha tentato, sia pure maldestramente, la carta dell’attacco a Gaza che ha lasciato sul terreno oltre centocinquanta vittime.
Come la tregua raggiunta pochi giorni fa, sia pure con un costo umano (soprattutto Palestinese ma anche Israeliano) molto elevato, il voto delle Nazioni Unite rappresenta un chiaro segnale del mutamento dei rapporti di forza esistenti. Quest’ultimo d’altronde rappresenta un successo per l’attuale presidente palestinese Abu Mazen e la sua linea volta al negoziato. D’altronde è significativo che anche Hamas abbia appoggiato la risoluzione, in tal modo cominciando a procedere in modo implicito al riconoscimento di Israele.
Molti problemi restano aperti. A cominciare dal blocco di Gaza, su cui segnalo l’ottimo intervento di Eyal Weizman sulla London Review of Books, tradotto e pubblicato da Internazionale oggi in edicola, il quale giustamente conclude che “non ci sarà calma, finché non sarà smascherata, smantellata e distrutta l’architettura invisibile del dominio israeliano sui palestinesi”. O il problema delle migliaia di prigionieri palestinesi, molti dei quali minorenni, arbitrariamente segregati nelle carceri israeliane. O quello degli insediamenti, che vanno avanti, anche a mo’ di insensata rappresaglia contro il voto delle Nazioni Unite (ma probabilmente sarebbero stati realizzati comunque). O quello della giustizia sui crimini di guerra.
Ma si aprono anche delle soluzioni sul terreno legale. Come suggerito dal professor Francis Boyle, il riconoscimento della natura statuale della Palestina apre nuove strade di azione negli organismi giudiziari internazionali dalla Corte penale internazionale, alla Corte internazionale di giustizia, e per l’affermazione della propria piena sovranità sul mare, nel cielo e rispetto alle telecomunicazioni.
Certo la strada è ancora lunga e difficile da percorrere.
Obama deve finalmente smarcarsi dal soffocante abbraccio con Netanyahu, che produce il paradossale risultato della dipendenza della politica della massima potenza mondiale dalle scelte rovinosamente sbagliate e ingiuste della destra al potere in uno Stato in tutto e per tutto dipendente dagli Stati Uniti.
E soprattutto, i cittadini di Israele devono capire che le possibilità di un futuro di pacifica e fruttuosa convivenza con i vicini arabi è legato all’accettazione piena del principio “due popoli, due Stati” con tutto ciò che ne consegue. Come necessaria tappa transitoria verso un futuro necessariamente comune su di un territorio geograficamente poco esteso. Per questo devono liberarsi dell’attuale governo di destra che, con la sua politica, costituisce oggi il principale ostacolo alla pace in quest’area strategica del pianeta. E la principale minaccia per la sicurezza di Israele e di tutto il Medio Oriente e il Mediterraneo, Italia compresa.
Bisogna essere convinti del fatto che l’apertura di nuove strade di dialogo, anche a livello di società civile, e la fine dell’oppressione insopportabile di cui sono oggetto i Palestinesi possano contribuire a disinnescare tutte le posizioni oltranziste. Il ruolo della comunità internazionale, intesa sia come insieme di Stati che come consapevolezza dei popoli, può rivelarsi a tale fine decisivo.
Fu anche per effetto di tale ruolo che il Sudafrica razzista terminò la sua esistenza. Ci pensino bene gli Israeliani.
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Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - L'attacco israeliano nei pressi della città di Daraa, nel sud della Siria, ha ucciso due persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale siriana Sana.
"Due civili sono morti e altri 19 sono rimasti feriti in attacchi aerei israeliani alla periferia della città di Daraa", ha affermato l'agenzia di stampa, mentre l'esercito israeliano ha affermato di aver preso di mira "centri di comando e siti militari appartenenti al vecchio regime siriano".