Ieri il Consiglio dei Ministri, dopo una seduta di quattro ore, ha approvato il c.c. decreto “salva-Ilva”.

La storia è nota: la magistratura ha chiesto il sequestro e la chiusura di alcune attività della nota acciaieria tarantina perché lesiva per la salute dei cittadini. Ma l’Ilva, se vengono bloccate le attività produttive, rischia di chiudere e di lasciare a casa migliaia di lavoratori.

La certezza: se si è arrivati a questo punto è perché le regole nel tempo, non sono state rispettate. Vi è addirittura il sospetto che l’Ilva abbia corrotto i tecnici incaricati di fare le verifiche, continuando così a produrre nuocendo alla salute pubblica ed aggravando la situazione, sino a portarla a questo punto di “non ritorno”.

I dubbi. La carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce all’art.3 che ‘Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica’ ed al successivo art. 35 che ‘Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana’.
Tale normativa ha oggi valore di trattato nell’UE, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato di Lisbona.

È legittimo quindi dubitare – alla luce della prioritaria tutela del diritto alla salute riconosciuto dalla Carta UE  – che una norma nazionale che comprima il diritto alla salute ed all’ambiente salubre in favore del profitto e dell’attività produttiva sia in contrasto con la normativa comunitaria.

A ciò si aggiunga che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha censurato più volte gli interventi normativi che condizionano le decisioni della magistratura. In sostanza non si può cambiare le carte in tavola per eludere l’applicazione di una norma. Anche i diritti tutelati dalla Carta Fondamentale per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo  (abbreviata in CEDU, che è normativa originariamente “estranea” alla Unione Europea) hanno fatto oggi in qualche modo ingresso nel Diritto UE: l’art. 52 comma 3 della carta fondamentale dei diritti della UE sancisce infatti che “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”.

Ed allora, a mio avviso, oltre ai dubbi di costituzionalità da più parti paventati (da valutare anche sotto il profilo dei limiti delle c.d. leggi provvedimento, tale è il decreto salva-Ilva) vi sono ben ampi spazi per una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia Europea, per verificare se il decreto salva-Ilva sia compatibile con gli art. 3 e 35 della carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea e con l’art. 6 della CEDU, come recepito dall’art. 52 c.3 della carta UE.

Del resto, considerati gli interessi in gioco e gli orientamenti, a mio avviso spesso restrittivi, della Corte Costituzionale, una questione così delicata merita forse una valutazione da parte di una Corte internazionale.

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