Politica

Primarie, cosa resta di Renzi se perde: capo del partito o nemico da battere?

Amministratori e iscritti che hanno sostenuto il sindaco di Firenze proseguiranno il loro impegno anche dopo il ballottaggio con l'attenzione rivolta alle elezioni (e all'ingresso in Parlamento di una quota di "rottamatori"), ma anche al congresso del Pd, visto che Bersani non si ricandiderà. Anche perché mancano i candidati per sostituirlo

Posto che se vince “farà il candidato premier”, provocando lo sconquasso di pronostici e geometrie di coalizione, l’incognita che tiene banco alla vigilia del secondo turno delle primarie riguarda le intenzioni di Matteo Renzi nel caso in cui esca sconfitto dal ballottaggio con Pierluigi Bersani e il modo in cui s’incroceranno i destini dei due protagonisti della sfida per la premiership del centrosinistra. Perché è vero che “le primarie non sono il congresso”, come nota Roberto Speranza dal comitato Bersani, rimarcando che sono state volute dal leader del Pd proprio per “avvicinare la politica ai cittadini”. Ma è altrettanto vero che, “rispetto a un partito schierato nella quasi totalità col segretario, un milione e centomila voti sono il dato politico che rappresenta una domanda di rinnovamento venuta sinora a mancare nel rapporto tra Pd e elettori”, secondo quanto rileva il coordinatore della campagna renziana, Roberto Reggi. Come a dire che quell’area di “amministratori e iscritti” che hanno sostenuto il sindaco di Firenze proseguiranno il loro impegno anche dopo le primarie, con l’attenzione rivolta in primo luogo alle elezioni e al governo, ma anche al successivo congresso del Pd al quale Bersani ha già annunciato che non si ricandiderà alla segreteria.

Di qui a prefigurare un’opa da parte di Renzi e dei renziani sul Pd per scalare la segreteria il passo è tutt’altro che breve, se non altro per lo scetticismo in merito del diretto interessato. Anzi, semmai è al segretario che si attribuisce l’intenzione di voler “coinvolgere” il sindaco di Firenze a discapito delle parole con cui il sindaco ha ripetuto sin dal primo giorno di “non voler posti di consolazioni o strapuntini di governo” e di quanti nell’attuale segreteria del Pd mediterebbero invece una resa dei conti col giovane “rottamatore” una volta risolta la questione del governo.

Di certo c’è che Renzi ha dichiarato che intende tradurre il proprio risultato in termini di parlamentari attraverso cui poter condizionare in modo determinante l’azione dell’eventuale maggioranza di centrosinistra; tanto che Bersani ha voluto rimarcare che le misure del consenso, quindi delle quote di eletti, si prendono “sul primo turno” e non sul ballottaggio. Tuttavia è proprio dal responso del secondo turno che ci si attendono proiezioni più accurate sui futuri incrociati di Renzi e di Bersani, del governo e del Pd.

Il recupero di un clima di fair plaiy da parte dei due contendenti dopo il rinfocolarsi delle polemiche delle ultime ore non fa che confermare quel “clima di non belligeranza” da molte parti interpretato come preliminare all’intesa futuribile tra i due contendenti. In quest’ottica, d’altronde, si era già interpretato anche l’annullamento di due degli ultimi appuntamenti di Renzi: quello a Sesto San Giovanni, territorio dei guai giudiziari di Filippo Penati, e quello all’Ilva di Taranto, che avrebbe evocato l’imbarazzo per trascorsi finanziamenti a Bersani da parte della famiglia Riva. Due tappe e due motivi in meno di inasprire la polemica nei riguardi del segretario.

Agli occhi dei dirigenti del Pd, d’altronde, lo stesso Bersani potrebbe avvantaggiarsi del duello all’ultimo voto col sindaco “rottamatore”, facendo leva sulla nuova diarchia per alleggerirsi del cosiddetto “caminetto”, cioè le pretese delle diverse componenti interne al partito capeggiate dai vari Fioroni, Letta, Bindi, Fassino, Veltroni. Bersani, d’altronde, è oltremodo scontento anche da come si sono comportati gli apparati del partito delle regioni rosse, cui rimprovera di aver dato troppo per scontata la vittoria e di non aver profuso il necessario impegno, lasciando che Renzi si affermasse non solo in Toscana, Umbria, Marche ma anche nella “sua” Emilia Romagna.

E’ alla luce di questa possibile diarchia che si prospetta persino un viatico da parte di Bersani nei riguardi della corsa alla segreteria da parte del sindaco in carriera, così da realizzare quel ticket tra presidenza del consiglio e guida della maggioranza che ha già contraddistinto la politica italiana del centrosinistra, sia ai tempi in cui Prodi governava e D’Alema lo incalzava sia quando poi D’Alema è andato a palazzo Chigi e Veltroni ha assunto la guida del partito. Anche perché lo stesso Renzi, quando Bersani approdasse a Palazzo Chigi, avrebbe la necessità e l’urgenza di collocarsi in un ruolo capace da fare insieme da sostegno e contraltare al governo, come quello di sindaco di Firenze non gli consente. Per quanto il promo cittadino sia il primo ad essere alquanto scettico circa l’idea di imbarcarsi nei difficili equilibrismi necessari per guidare tutto il partito.

Difatti, se per un verso Renzi ha conquistato una fetta importante di elettori attraverso le primarie, per l’altro è ancora lontano dal poter pensare di essere maggioranza tra gli iscritti e i dirigenti. Anche se i primi passi li ha già mossi, come dimostrano gli oltre ottanta amministratori locali che l’hanno sostenuto in Toscana, oltre a quelli che vengono dall’Emilia come lo stesso Reggi, il presidente del consiglio regionale Matteo Richetti, il sindaco di Reggio e presidente dell’Anci Graziano Del Rio.

Certo è che una volta vinte le primarie “l’investitura del successore toccherà a Bersani”, fanno notare a via del Nazzareno. E se questi dovesse prevalere nettamente al ballottaggio, allora lo stesso Renzi potrebbe vedersi spingere ai margini del partito, perfino con l’intenzione di sollecitarlo a uscirne. La cerchia dei fedelissimi del segretario vede infatti come fumo negli occhi la prospettiva di un’ascesa di Renzi addirittura col viatico del candidato premier, meditando piuttosto una resa dei conti interna volta “stroncare sul nascere” ogni prospettiva di carriera politica interna al partito per il “rottamatore” fiorentino dopo averne “subito l’offensiva”. Sennonché quelli che difettano sono i candidati in grado di poter superare lo scoglio delle primarie battendo Renzi. Per la segreteria come per la premiership, infatti, le consultazioni sono aperte anche ai non iscritti. E in quest’ottica gli unici due nomi chi si vociferano, quello di Stefano Fassino e di Dario Franceschini, sono fuori gara in partenza.