Nel 2006 Gian Mario Felicetti fonda SyncDifferent, la prima squadra in Italia di sincronizzato maschile: "Per ora gareggiamo all'estero dove quello che facciamo non è considerato né strano né raro. Il luogo comune che dipinge ciò che facciamo come una specialità esclusivamente femminile è infondato”
Alzi la mano chi ha mai pensato che il nuoto sincronizzato possa essere uno sport anche per maschi. Nessuno? Niente di strano, dato che la disciplina richiama alla mente solo immagini di snelle fanciulle in costumi decorati di strass, con i capelli elegantemente raccolti all’indietro e i volti truccati con largo uso di prodotti waterproof.
Gli stereotipi però non piacciono a tutti: sicuramente non ai SyncDifferent, la prima squadra in Italia di nuoto sincronizzato prevalentemente – anche se non esclusivamente – maschile. Ad avere l’idea è stato, nel 2006, Gian Mario Felicetti, fondatore e caposquadra del team. “All’epoca praticavo il nuoto nel Gruppo pesce (la prima associazione dilettantistica nata per favorire la pratica sportiva di gay e lesbiche, ndr) e alla fine dell’anno organizzavamo ogni volta qualcosa di diverso e divertente, come gare di aquagym o pallanuoto. Quell’anno mi sono cimentato con il sincro e tutti ridevano, ma io ho pensato: perché non posso farlo se sono maschio? Dove c’è scritto che gli uomini in acqua debbano muoversi solo avanti o indietro o in una sola direzione?”, spiega a Ilfattoquotidiano.it.
Così è nato il team SyncDifferent, che al momento conta sei membri, uomini e donne. “Siamo una squadra master, cioè dilettantistica: seguiamo le regole ufficiali dello sport, ma non abbiamo l’approccio agonistico tipico dei professionisti. Noi ci alleniamo due volte a settimana, tre se siamo sotto gara”, spiega Felicetti. La squadra è ora in cerca di nuovi iscritti, in particolare uomini, per poter partecipare alle gare nazionali. Per tutto il mese di novembre il gruppo offre ai principianti due allenamenti di prova, durante i quali possono capire se il nuoto sincronizzato fa per loro. Il loro motto: “Nuoto sincronizzato maschile. Per tutti“, spiegano i SyncDifferent sul loro sito. E Felicetti rincara la dose: “Pensate al pattinaggio, e alle fantastiche performance che creano uomini e donne insieme, ciascuno con il proprio stile. Perché dovremmo privarcene nel nuoto sincronizzato?”
Per ora la squadra italiana partecipa alle gare organizzate all’estero, dove il nuoto sincronizzato maschile è una realtà consolidata. “In quasi tutti i Paesi, in Europa ma anche in Giappone e negli Stati Uniti, esistono squadre maschili, con vere e proprie eccellenze: atleti che già vent’anni fa erano dei campioni, come il francese Stephane Miermont o lo statunitense Bill May”, racconta Felicetti, secondo cui “il luogo comune che dipinge il sincro come una specialità solo femminile è infondato, oltre che antisportivo”.
Per arrivare alla piena parità di genere anche nelle piscine di nuoto sincronizzato le regole dovranno essere modificate, prendendo in considerazione anche i movimenti del corpo maschile, diversi da quelli delle donne. Un passo avanti è stato fatto dal Coni, che ha eliminato nella dicitura dei regolamenti ufficiali i riferimenti di genere: ora si parla genericamente di “squadre di nuoto sincronizzato”. “Dobbiamo questa conquista a Susanna De Angelis, istruttrice di una squadra femminile a Roma – spiega Felicetti –. Nel suo team gareggiano anche i figli Marco e Giorgio, che praticano il sincro a livello agonistico, ma sono gli unici maschi in una squadra di donne”.
La battaglia per l’affermazione del nuoto sincronizzato per uomini si configura come una rivendicazione di parità, più che come una lotta per i diritti degli omosessuali. “SyncDifferent è una squadra maschile: ovviamente, essere nati in un ambiente gay friendly ci aiuta ad affrontare gli stereotipi”, sostiene Felicetti. Eccezioni a parte, le squadre sportive non sono considerate i posti ideali per rivendicare le proprie scelte sessuali, anche se di recente più di un atleta ha deciso di rompere il silenzio e fare coming out. Per Felicetti “ognuno vede la questione come vuole: in generale, una persona che deve raggiungere un obiettivo difficilmente riesce a farlo, se teme di essere scoperto o non può vivere liberamente la propria vita privata. Un campione etero riuscirebbe a dare il massimo se tutti i suoi tifosi pensassero che è gay? No. Lo stesso vale per gli atleti omosessuali. È vero che in gara l’orientamento sessuale non conta, ma lo sport non è solo competizione: gli sportivi sono a volte anche figure pubbliche, e in questo senso è positivo che i campioni omosessuali diano l’esempio”.