Ha avuto inizio oggi a Doha la seconda settimana di negoziazioni alla COP18, con l’arrivo al Qatar National Convention Center di ulteriori delegati che indirizzeranno le discussioni sugli aspetti politici.
La prima settimana, caratterizzata principalmente da meeting tecnici, ha visto un sostanziale stallo nelle negoziazioni per il secondo periodo d’impegno del Protocollo di Kyoto (KP). Canada, Russia, Giappone, Nuova Zelanda e Turchia si sono aggiunti agli Stati Uniti nella lista dei paesi che non vi aderiranno, lasciando così la palla in mano ad Unione Europea (che ha riconfermato il pledge del 20%, già raggiunto nel 2011), Cina ed Australia, con quest’ultima che però ha presentato un obiettivo di riduzione irrisorio: 0,5% di riduzione delle emissioni entro il 2020.
Mantenere in vita il Protocollo di Kyoto è fondamentale, in quanto rappresenta l’unico accordo globale legalmente vincolante in merito a misure di mitigazione.
Parallelamente al KP, è entrato in azione il gruppo di lavoro sulla Durban Platform (ADP) con lo scopo di raggiungere un accordo entro il 2015 per un nuovo trattato globale che possa entrare in vigore dal 2020; al suo primo anno, l’ADP è ancora in fase di definizione delle proprie strutture ed ambizioni. Sarà importante riuscire ad integrare al suo interno i principi previsti dal Bali Action Plan sulle responsabilità storiche, comuni e differenziate degli stati, al fine di non perdere diversi anni di lavoro in termini di dialogo internazionale.
Per quanto riguarda la questione “finanza”, è stato annunciato nei giorni scorsi da Christiana Figueres (Segretario Esecutivo dell’UNFCCC) che non si prevede di riuscire ad individuare le risorse per il Green Climate Fund qui a Doha, sia per via della crisi economica che per le ancora non ben definite modalità di gestione dei fondi stessi, motivo di preoccupazione per diversi stati.
Questo tuttavia non esclude la possibilità di accordi per lo sblocco di finanziamenti in favore dei paesi in via di sviluppo, da utilizzare per mitigazione, adattamento e, in misura sempre maggiore, per far fronte ai danni causati dalle manifestazioni dei cambiamenti climatici (tempeste e inondazioni su tutte).
Nel frattempo, sabato scorso il Qatar ha visto la sua prima marcia della storia, con il neonato Arab Youth Climate Movement (protagonista il mese scorso di una giornata di mobilitazioni simultanee in 14 paesi tra medio oriente e nord africa) a guidare la “primavera green” del mondo arabo.
I giovani (almeno loro) ci sono.
di Federico Brocchieri, inviato a Doha