Prendiamo il processo a cui è sottoposto Ottaviano del Turco. Uomo politico di lungo corso, presidente di Regione vede, nel luglio del 2008, la sua carriera bruscamente interrotta causa arresto. La procura della Repubblica di Pescara, indagava dal 2006, in merito ad una vicenda di presunta corruzione finalizzata ad agevolare uno dei ras della sanità locale, tal Angelini.
In Germania o in Francia, in Inghilterra o negli Stati Uniti il destino di un Del Turco locale sarebbe già stato ben definito e delineato: lo sarebbe stato in un paio di anni, tempo ragionevole per tutelare le esigenze della collettività e, al tempo stesso, dell’imputato. Tempo ragionevole per mantenere fiducia in un organo fondamentale quale la magistratura.
Il processo “Del Turco“ in Italia, al contrario ci vede sei anni dopo ancora al dibattimento in primo grado, con previsione di sentenza (ripeto di primo grado) non prima della fine del 2013. Per una volta, non per colpa dell’imputato che appare modello da seguire per presenze in udienza .
Come si fa ad ipotizzare che un indagato debba dimettersi dalle cariche politiche alla luce del bradisismo processuale che affligge l’Italia? Quale farraginosa indagine può portare alla cifra record di sei anni senza sapere se l’imputato è colpevole o innocente?
A me sembra chiaro che questa lentezza inficia, in gran parte, un serio ragionamento sul rapporto politica e magistratura con buona pace di coloro che pensano che la magistratura sia simile all’avvento: annunci la nascita del bambin gesù. Al contrario annuncia, come in questi casi di inefficienza assoluta, l’appalesarsi di gironi infernali che trasformano professione e status del cittadino in quella scomoda e svillaneggiata di imputato. Per anni, per secoli se interviene la prescrizione.
Di questo processo una cosa sono in grado di dire: è vergognoso che si sia ancora in questa fase di giudizio. Lo è se verrà condannato a maggiore ragione se sarà assolto.
In tale ultimo caso rappresenterebbe un finale tragico: per l’imputato e per gli elettori, che hanno visto decapitare la dirigenza di una regione, vedere sovvertito un voto democratico, distrutto una carriera politica. In tale ultimo caso, se si usassero molti paradigmi cari alla cultura del sospetto, si potrebbe anche affermare che un processo che viene trascinato così a lungo è un processo in cui le prove sono fragili per non dire assenti.
Ma non si vuole essere sospettosi e si rimane in sfiduciata e malinconica attesa.