Non ho mai creduto – come molti – alla possibile vittoria di Matteo Renzi alle primarie del centrosinistra. Non ci ho mai creduto, però, per ragioni diverse da quelle che molti – lui stesso incluso – hanno sempre addotto: perché il cosiddetto “apparato” del Pd gli era contro (dai parlamentari ai dirigenti locali), perché il cosiddetto “popolo di sinistra” è più conservatore che innovatore, e così via. No. Per non crederci bastava osservare con attenzione la macchina comunicativa che i suoi (Giorgio Gori in testa) gli hanno allestito per l’occasione: le ragioni della sconfitta erano scritte tutte lì dentro. C’erano all’inizio e ci sono rimaste fino alla fine. Eccole:
- La comunicazione di Renzi era fuori target: troppo patinata, troppo smagliante, troppo televisiva, troppo copiata da quella americana, e perciò non adatta all’elettorato di centrosinistra italiano, che da vent’anni è abituato, da un lato, a collegare gli effetti sons et lumières a Berlusconi, dall’altro a stigmatizzare tutto ciò che sa di marketing e comunicazione come foriero di chissà quali manipolazioni occulte e falsità. Detto in altri termini: in politica dalle tecniche di comunicazione nessuno può più prescindere, né a destra né a sinistra, ma se ti trovi in Italia, oggi, e ti rivolgi agli elettori di centrosinistra, devi mascherarle, devi sporcarle almeno un po’, non puoi presentarti come il “bravo comunicatore”. Altrimenti fai la fine di Veltroni. O di Renzi, appunto.
- Il frame della rottamazione era tanto potente quanto sbagliato. E perché mai, direbbe qualcuno, se è proprio grazie a quello, che Renzi è arrivato dove è arrivato? Perché la rottamazione era ed è rimasta fino alla fine un frame di contrapposizione e protesta, non di proposta. Negazione, non affermazione. E se parti con la negazione, puoi anche fare molta strada, ma alla fine non vinci, perché si vince costruendo un frame proprio, non smontando quello altrui, come insegnano le numerose sconfitte della sinistra italiana. Non solo, se parti con la negazione, ci resti ingabbiato per sempre: hai voglia a dire che il programma ce l’hai, è bellissimo e basta leggerlo, tutti continueranno a pensarti come l’uomo che distrugge, che non costruisce. E infatti com’è chiamato Renzi? Il rottamatore. Da tutti, pure dai suoi. Insomma, Renzi è riuscito a replicare nel centrosinistra la stessa strategia perdente che il centrosinistra ha agitato invano per anni contro il centrodestra.
- Renzi voleva spostare il Pd verso il centro. Bene bravo bis, hanno detto in molti, specie al centro. E l’hanno detto persino a destra, dove – in mancanza di proposte decenti – Renzi in questi mesi ha svolto quasi il ruolo dell’animatore, una specie di intrattenitore in attesa di leader migliori e, soprattutto, non targati Pd. Ma è da più di un anno che tutti i sondaggi dicono che gli elettori di centrosinistra vorrebbero un Pd spostato a sinistra, non al centro (vedi Chi ha paura di Nichi Vendola?). E finalmente Bersani, dopo diversi tentennamenti, negli ultimi mesi l’ha capito. Infatti ha vinto (per questa, ma anche per altre ragioni che dirò in una prossima puntata).
Insomma, sto dicendo che Renzi non è il “bravo comunicatore” che dicono? Rispetto alle primarie, non lo è stato affatto. Specie se ciò che ha dichiarato ieri – che torna a fare il sindaco e si mette buono – è vero. Ma se il suo obiettivo – come ancora credo – va oltre le primarie, c’è ancora margine per valutarlo. In tal caso, però, avrebbe mentito diverse volte. Chissà.