La legge prevede l'innalzamento del costo minimo dell'unità alcolica a 45 pence (centesimi di sterlina). La speranza del governo inglese è di ridurre fenomeni come il “binge drinking” e la criminalità collegata. Secondo l’Adam Smith Institute però la norma produrrà un mercato nero parallelo perché il proibizionismo insito nella misura, rende il bere ancora più attraente
“In questo modo si arricchiranno solamente le aziende private. La gente berrà lo stesso e forse continuerà a farlo sempre di più”. L’Adam Smith Institute, un think tank britannico per le libertà e per il libero mercato, boccia sonoramente il progetto di legge del governo guidato da David Cameron di alzare il prezzo minimo degli alcolici per ridurre il tasso di alcolismo dei sudditi del Regno Unito. Cameron presenterà ufficialmente la legge in parlamento entro poche settimane e poi questa verrà messa al vaglio dei ministri competenti e sarà soggetta a una consultazione pubblica.
L’intenzione di Cameron è questa: “Vogliamo portare a 50mila crimini legati all’alcol in meno all’anno e a 900 morti per alcolismo in meno, sempre all’anno. Questo risultato sarà possibile con la mia legge entro il 2020”. Al momento, in Inghilterra – diversa la legislazione in materia in Scozia – non esiste praticamente un prezzo minimo e le bevande alcoliche, soprattutto la birra, si possono trovare a tariffe veramente basse, soprattutto nei negozi “off licence”, spesso gestiti da cittadini extracomunitari e aperti 24 ore su 24. Portando il prezzo minimo a 45 pence (centesimi di sterlina) a unità alcolica (una birra in lattina è in genere composta da due unità e mezzo), Cameron spera quindi di ridurre fenomeni come il “binge drinking”, il bere quasi “compulsivo”, e la criminalità collegata.
Ma ora, appunto, dall’Adam Smith Institute, uno stop. Il gruppo di pressione ha pubblicato uno studio, curato dagli statistici John C. Duffy e Christopher Snowdon, che smentisce in maniera radicale le previsioni di Cameron e dei suoi ministri. Secondo la ricerca, non sono stati considerati quei fenomeni psicologici che portano la gente a bere. “Aumentando il prezzo dell’alcol, si creerà un mercato nero parallelo, così, paradossalmente, sulla piazza si troveranno bevande a prezzi ancora minori”, dicono gli studiosi. Poi, “il proibizionismo insito nella misura, renderà il bere e la dipendenza da alcol sempre più attraenti. E, inoltre, le risorse in mano alle fasce più povere della popolazione passeranno sempre di più nelle mani delle grandi aziende che producono birra, vino, distillati e liquori”. Senza considerare che, sostiene l’istituto, “in mancanza di una seria politica di informazione sui benefici alla salute del bere moderato, non si farà altro che peggiorare le cose”. Le associazioni di alcolisti anonimi e in difesa della salute, intanto, contestano proprio quest’ultima conclusione del gruppo di ricerca. Tutte realtà che hanno chiesto a Cameron un aumento del prezzo minimo non a 45 pence ma a 50, così il governo sta pensando anche di giungere a un compromesso di 45 pence a unità alcolica.
Eppure, all’interno della maggioranza, sorgono anche dubbi e perplessità. Se il progetto di Cameron fosse ben calcolato, una diminuzione del consumo di alcolici porterebbe anche a un minor introito di tasse per lo Stato britannico. Inoltre, a soffrirne eccessivamente sarebbero produttori e rivenditori di alcolici. Insomma, ora il governo cerca di trovare una quadra fra esigenze salutistiche, fiscali e di mercato. Gli uomini del primo ministro sono pronti a pubblicare, entro una settimana, alcuni studi che sosterrebbero le proposte del premier. Ma la guerra a suon di ricerche statistiche continuerà sicuramente fino all’approvazione della legge. Le lobby dell’alcol ancora non si sono fatte sentire apertamente. Ma l’entourage governativo inizia a temere quel momento, come le prime tensioni interne alla maggioranza su un tema così delicato come l’alcolismo dei britannici rivelano.