Il Partito Democratico ha scoperto di essere ancora in vita grazie a Matteo Renzi. Inutile negarlo. Senza il conflitto aperto dal sindaco di Firenze, l’interesse dei cittadini e del dibattito politico per le sorti del Pd era ridotto al nulla dei soliti battibecchi interni tra le mille correnti cattoliche, presunte atee, moderatamente agnostiche e decisamente disinteressate. Il chissenefrega di cui Renzi è stato portatore sano ha risvegliato gli animi, vitalizzato il dibattito, regalato uno sguardo più ampio in prospettiva futura. Nel partito, costringendo i rottamandi a preoccuparsi e quindi impegnarsi, negli elettori, risvegliati nel vedersi riconosciuto un potere decisionale concreto. Renzi ha scatenato un’onda da mercoledì da leoni che se avesse vinto sarebbe durata fino alle politiche. La vittoria di Pier Luigi Bersani ha calmato le acque sulle quali Rosy Bindi e affini sono corsi a porre le loro rassicuranti paperelle. Ma il mare è leggermente scosso e non è ancora tornato lo stagno piatto che era prima. I benefici dell’onda renziana, per quanto in calo, si vedranno sicuramente sabato 15 dicembre in Lombardia quando ci saranno le primarie per il candidato presidente della Regione tra Umberto Ambrosoli, Andrea Di Stefano e Alessandra Kustermann. Ma anche qui è il Pd a mostrarsi sconfitto e incapace di gestire il proprio potenziale.
La solita confusione democratica nel gestire gli eventi, con il balletto di primarie sì no forse, non ha limitato per ora i tre candidati che hanno attirato comunque l’interesse dei lombardi. Per quanto la sfida per il momento sia passata ovviamente in secondo piano sui giornali rispetto a quella tra Bersani e Renzi, i teatri e gli appuntamenti pubblici tra Sondrio e Monza sono sempre pieni o quasi. E i toni si stanno inasprendo, con il Pd locale spaccato in due tra Ambrosoli e Kustermann. Il primo, a cui il partito ha letteralmente implorato di candidarsi, tiene un profilo basso, evitando di prendere posizioni nette, mentre Kustermann invece si schiera in maniera chiara ogni volta che può. A partire appunto dalla scelta tra Bersani e Renzi. L’avvocato ha votato ma non ha voluto dire per chi, probabilmente per timore di perdere una parte di possibile elettori, Kustermann invece ha scelto Bersani e l’ha detto in ogni modo. Così, secondo gli stessi esponenti locali del Pd, è alto il rischio che quello che doveva essere il loro candidato di punta, Ambrosoli, si veda superato da Kustermann, addirittura data già per vincitrice in zona 1, nel centro di Milano, lo stesso dove ha vinto Renzi. E così ancora una volta il vero sconfitto sarà il Partito Democratico, a livello nazionale incapace di rinnovarsi ritrovandosi spaccato in due, a livello locale talmente titubante da non riuscire neanche a sostenere un candidato corteggiato e implorato per mesi. Né, ancora peggio, in grado di valorizzare e sfruttare al meglio le forze che si sono messo in campo. Come tra Bersani e Renzi, con le regole capestro e irreali della giustificazione per votare al ballottaggio, anche tra i tre candidati lombardi il Pd si conferma autolesionista. Come diceva Nanni Moretti “continuiamo a farci male da soli”.