8 milioni di euro di debiti verso lo stato. Oltre il conto aperto con la giustizia, Fabio Savi, accusato e condannato all’ergastolo per la vicenda della “Uno Bianca”, è ora insolvente verso Equitalia, che in carcere gli ha fatto arrivare una salata cartella esattoriale. Per rimediare, l’arrestato dovrà pagare 60 euro al mese, 1/5 del suo attuale stipendio di 300 euro, somma che riceve per il lavoro svolto nel carcere di Spoleto.
La notizia riportata da Qn, è arrivata negli ultimi giorni proprio al direttore del centro di detenzione, che ha dovuto avvisare lo stesso Fabio Savi. Il 52enne, membro dell’organizzazione criminale che negli anni ’90 ha terrorizzato l’Emilia Romagna, è condannato all’ergastolo, e dal 2010 è detenuto nella casa di reclusione di Maiano. La decisione di Equitalia suona da rivalsa, dopo che il giudice aveva predisposto il risarcimento per i 24 familiari delle vittime di 19 miliardi di lire, pari circa a 10 milioni di euro. Ora il conto salato è arrivato direttamente a Savi, che ogni mese dovrà versare una piccola quota. Da nullatenente, il contributo è minimo ma rappresentativo di un conto aperto con lo Stato italiano di cui in qualche modo deve farsi carico.
“È giusto, anzi doveroso, – afferma Rosanna Zecchi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della “Uno Bianca”, – finalmente prendono i soldi anche a loro. Noi abbiamo ricevuto il risarcimento dallo Stato, ma i responsabili non hanno mai versato un centesimo. Io lo trovo giusto, avrebbero dovuto intervenire prima”. Una decisione che riapre una vecchia ferita e che fa riaffiorare un’annosa questione e quanto mai delicata per i parenti delle vittime: “Perché non vanno a chiederli anche agli altri membri della banda? Da quanto so stanno tutti lavorando in carcere, è giusto che anche loro paghino. Lo Stato ha ragione: è ora che dopo tutti i soldi spesi per i risarcimenti, anche i colpevoli diano un contributo”.
La banda della “Uno Bianca”, tristemente nota alla cronaca nazionale, venne arrestata nel novembre 1994. Nel 1996 Fabio Savi, l’unico civile del gruppo composto da poliziotti, insieme al fratello Roberto, venne condannato a tre ergastoli. Successivamente ci fu la riduzione a un solo ergastolo. Il periodo d’azione del gruppo criminale fa riferimento agli anni che vanno dal 1987 al 1994, durante il quale furono commessi 105 crimini e 24 omicidi nelle tre regioni di Bologna, Romagna e Marche. A comporre il gruppo erano i 3 fratelli Savi, Roberto (poliziotto alla questura di Bologna), Fabio (unico civile) e Alberto (poliziotto presso il commissariato di Rimini), oltre a Pietro Gugliotta (poliziotto presso la questura di Bologna), Marino Occhipinti (sovrintendente alla sezione narcotici della Squadra Mobile di Bologna) e Luca Vallicelli (poliziotto della stradale di Cesena).
Ora, a quasi vent’anni di distanza, la decisione dello Stato di presentare il conto salato a Fabio Savi. La notifica da parte di Equitalia prevede in un primo momento il pignoramento di 1\5 dello stipendio dell’interessato, in quanto nullatenente. In seguito, la pratica verrà presa in esame per cercare di capire quali potrebbero essere i beni “aggredibili” per ottenere gli 8 milioni previsti dalla cartella esattoriale. Nel frattempo, l’avvocatessa di Fabio Savi commenta così: “Non ho visto il provvedimento, ma la ritengo una cosa ingiusta: si tratta di togliere a una persona che lavora e che riceve 300 euro al mese, una buona parte dello stipendio”. Nessuna battuta invece da parte di Savi, che si è limitato ad accettare la decisione comunicata dal direttore del carcere dottor Ernesto Padovani.
“Ogni volta che si torna a parlare della questione, – conclude Rosanna Zecchi, – è un nuovo colpo al cuore. Purtroppo noi non dimentichiamo, mentre la gente non ha memoria”. È amareggiata la vedova Zecchi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, da poco interpellata in merito ad una piccola polemica su di una iniziativa di commemorazione. Ogni 13 ottobre infatti, la polisportiva Progresso di Castelmaggiore (Bologna) organizza una staffetta podistica in memoria delle vittime della “Uno Bianca” e alcuni cittadini avrebbero protestato sulla necessità di coinvolgere le forze dell’ordine per scortare gli atleti e i partecipanti. “Qualcuno si è lamentato del fatto che sprechiamo soldi pubblici per farci scortare durante questa manifestazione di solidarietà. Siamo senza parole. Oltre il dolore anche le sterili polemiche. La società fa presto a dimenticare, mentre noi proprio non possiamo”.