Il 5 dicembre al teatro Bibiena di Sant'Agata bolognese in scena l'artista che si ispira a Giorgio Gaber e Mario Capanna: "Racconto il disagio incrociato e irrisolto di una donna violentata, un immigrato, un ex carcerato e un manager. Dobbiamo riscoprire una convivenza collettiva. Ci vuole un nuovo '68"
Gli amanti del rock alternativo made in Italy se lo ricorderanno come la voce e l’anima degli Estra, il gruppo che da Treviso aveva adottato a partire dal 1991 sonorità indie per raccontare la contemporaneità. Ma Giulio Casale, classe 1971 e una carriera nel basket lasciata quando giocava nella Benetton, è anche altro. È uno scrittore e un drammaturgo che nel corso della sua carriera ha riproposto concetti e opere di Giorgio Gaber e di Mario Capanna. E che ha attraverso percorsi artistici incrociando intellettuali come Fernanda Pivano e di musicisti come Massimo Bubola.
Il 5 dicembre sarà al teatro comunale Ferdinando Bibiena di Sant’Agata Bolognese con La febbre – Spettacolo di prosa cantata diretto dalla regista Francesca Bartellini. Uno spettacolo in cui, dal punto di vista tecnico, Casale non fa solo il narratore, ma a tratti si trasforma in personaggio passando dalla terza alla prima persona. “Dal punto di vista teatrale”, dice, “è una sfida più alta rispetto al passato. Una sfida determinata dal cambiamento di soggettiva quando presento le diverse storie che si intrecciano”.
Storie che raccontano molteplici disagi. Quali sono?
“Ciò che racconto è un collage, un tentativo di dare conto di tante problematiche. C’è la parte in cui parlano tre personaggi diversi, un ex carcerato, un immigrato e un uomo considerato pazzo. Compaiono poi un milanese ossessionato dalla carriera e una storia di violenza sulle donne vista sia dal lato dell’orco che della vittima. Insomma lo spettacolo prova a narrare la nostra socialità con un accento forte sui suoi punti critici e in tutto questo vengono calate le canzoni di Dalla parte del torto”.
Sempre a proposito di disagi, la crisi li ha acuiti e negli ultimi giorni si è tornati a parlare per esempio di tentativi di suicidio di lavoratori e di datori di lavoro. Dal tuo punto di osservazione, quali sono le urgenze di oggi?
“Prima di tutto è necessario riscoprire una convivenza collettiva. Adesso tutto è spinto dalla solitudine e dal senso di isolamento che schiacciano. Questo è molto evidente nelle grandi città, ma poi ci ci accorge che non è così diverso in piccole realtà. Per cui credo che se volessimo essere ottimisti, questa penuria e quest’assenza di prospettive potrebbero orientarci verso una ‘mancanza di pretese’, cioè la necessità di togliere di mezzo una volta per tutte l’avidità come valore. Da qui si potrebbe recuperare un maggior senso di solidarietà, parola abusata in passato, ma andare alla ricerca di legami tra individui, tra persone e non più tra pedine, potrebbe contribuire a superare le manifestazioni più estreme e più deleterie del vivere attuale, interamente basato su aspetti economici”.
Eppure, con la campagna per le primarie di centrosinistra, si è parlato della riscoperta di un percorso democratico che passa attraverso la partecipazione. È in effetti così?
“Non lo so. Ciò che so è che c’è tanta rabbia nel Paese e occorre ragionare su come viene canalizzata. Può darsi che, indirizzandola verso una strada costruttiva, la partecipazione elettorale possa tramutarsi in un maggior senso di democrazia. Ci può essere invece chi, con altrettanta ragione, vorrebbe distruggere tutto. Anche questo aspetto si sente molto in giro. La logica del ‘tutti a casa‘ sta prendendo sempre più piede e da un certo punto di vista è comprensibile. Anche io, quando finivo qualche anno fa lo spettacolo Formidabili quegli anni, dicevo che c’era bisogno di un nuovo Sessantotto, di un ricambio totale della nostra classe dirigente. Ma il problema è che non possiamo rimanere nel vuoto, ci deve essere qualcuno che si distingue e che è in grado di portare avanti questa transizione tra vecchio e nuovo”.
E qualcuno in grado di farlo c’è?
“Sinceramente no, però nel Movimento 5 Stelle c’è questa responsabilizzazione assoluta da parte del cittadino, aspetto che mi sembra uno degli elementi molto positivi di quel gruppo. I militanti si fanno carico personalmente, paese per paese, circoscrizione per circoscrizione, dei problemi di quella comunità. Questo è già un modo per provare a fare politica in modo nuovo o rinnovato”.
Invece, laddove ci sono risposte a cui la politica e gli amministratori non riescono a fare fronte, dove si cercano le alternative?
“Le alternative sono dentro ciascuno di noi. Ciascuno può essere testimone, esempio o semplicemente aiuto per una buona idea di convivenza. Se tutto smettessero per esempio di essere corresponsabili di soprusi o di danni nei confronti dell’ambiente e quindi anche delle persone, sarebbe già un inizio”.