Il cosiddetto “caso Sallusti” ovvero l’ imperativo categorico “salvate il soldato Sallusti” sarebbe l’emergenza che si vive “al vertice delle istituzioni” mentre le grandi testate nazionali come le Tv pubbliche e commerciali ci aggiornano ad horas degli appelli a Napolitano.
Il presidente della Repubblica che descrivono molto determinato a “risolvere” in breve tempo e con “qualsiasi mezzo” il caso di un condannato con sentenza definitiva che sta scontando la sua pena ai domiciliari ha fatto sapere tramite il suo portavoce Pasquale Cascella che “sta esaminando ogni aspetto della vicenda e considera tutte le ipotesi del caso”.
La sollecitudine è tale che è stato convocato inusualmente il ministro della Giustizia di domenica per rimediare “al pasticcio” e le possibilità sarebbero due: grazia presidenziale “motu proprio”, dato che il condannato non la vuole chiedere, e cioè qualcosa che non è previsto dalla Costituzione, oppure una nuova leggina ad personam, dato che in prima battuta è andato tutto a rotoli, partendo questa volta dalla Camera.
Naturalmente sulla missione “liberatoria” e altamente simbolica di sottrarre Sallusti a una legittima e motivata sentenza definitiva si è buttato a capofitto un Berlusconi fortemente tentato a riprendere la crociata, solo momentaneamente, sospesa contro toghe rosse e comunisti.
Ma quello che lascia attoniti non è il tentativo, finora rovinosamente fallito, di cogliere “l’occasione” della condanna per diffamazione aggravata e continuata a Sallusti per varare finalmente una legge migliore di quella prevista attualmente che superi la previsione del carcere.
Se il ministro Severino volesse tenere presente le proposte formulate da Caterina Malavenda, avvocato specializzato nei reati a mezzo stampa che propone di sostituire il carcere con una congrua multa, di cancellare il reato previa rettifica non virtuale e serie misure disciplinari, non ci sarebbe davvero nulla di cui scandalizzarsi.
Purtroppo invece di scandaloso c’è l’opera di mistificazione, di ribaltamento e di manipolazione dei fatti che è andata in scena con una escalation orchestrata man mano che si avvicinava la sentenza di condanna (scontata). E poi a seguire tutta la pantomima dell’attuale direttore de Il Giornale assurto a martire della libertà di informazione violata dai soliti giudici nemici.
Un direttore che dopo aver lasciato pubblicare a un giornalista condannato per favoreggiamento nel sequestro Abu Omar “costretto” a scrivere sotto pseudonimo un pezzo falso, denigratorio e minaccioso contro un magistrato che ha fatto solo il suo dovere applicando la legge, nega la rettifica, e che condannato, dati i numerosi precedenti, rifiuta tutte le soluzioni alternative al carcere predisposte con eccesso di premura dal procuratore Bruti Liberati.
Lo scopo palese, come “l’evasione” dai domiciliari dorati chez Santanché con tanto di successiva “irruzione” della Digos in redazione nel modo più soft che si potesse immaginare, era quello di provocare i funzionari di polizia, irridere i magistrati, ribaltare il tavolo della legalità e delle regole uguali per tutti.
Sarebbe concepibile in un qualsiasi paese europeo una simile pièce? Alessandro Sallusti potrebbe presentarsi all’estero, e quel che è peggio essere presentato dalla quasi totalità dei suoi colleghi, come vittima di una legge liberticida che punisce un “reato d’opinione” e che non ha eguali in nessuna altra democreazia occidentale?
La risposta è banalmente no, come ci spiega, per esempio Michael Braun corrispondente del quotidiano berlinese Die Tageszeitung e della radio pubblica tedesca. In Germania, ci ricorda, chi diffama e denigra scrivendo falsità rischia fino a cinque anni di detenzione. E il fatto di non essere l’autore materiale del pezzo ma di essersi reso complice di un reato grave come quello di additare un magistrato al pubblico ludibrio accusandolo di “aborto coattivo” mentre aveva autorizzato l’interruzione di gravidanza su richiesta della minorenne e della madre, non ne attenua la responsabilità. Per di più l’ineffabile Farina alias Betulla, quando faceva la spia per conto di Pio Pompa, sotto lo pseudonimo Dreyfus invocava nell’articolo la pena di morte per giudice, genitori e ginecologo.
Tuttora Sallusti ha la faccia tosta, per usare un eufemismo, di rivendicare come motivo di orgoglio di non “aver accettato trattative private con un magistrato disponibile a lasciarmi libero in cambio di un pugno di euro”. In altre parole continua a diffamare il giudice Cocilovo che si accontentava per rimettere la querela di ventimila euro da devolvere a Save the Children.
Ma quello che è persino più squallido ed umiliante per il presunto martire e per tutto il seguito di sedicenti giornalisti che gli si stringono attorno e che lo ospitano per diffondere le sue mistificazioni, è il tentativo di spacciare un atto di denigrazione e di falsificazione così manifesto come “un’opinione” e di spacciare la diffamazione come reato di opinione.
Qualsiasi studente che voglia superare l’esame di diritto penale sa bene che la diffamazione è disciplinata tra i delitti contro l’onore inclusi nel titolo XII del codice penale dedicato ai delitti contro la persona. Ben altra cosa è la categoria dei reati cosiddetti d’opinione finalizzati alla tutela di valori morali diffusi o presunti tali, come il vilipendio, l’apologia, la propaganda (per esempio quella razzista).
Forse ci sono diversi cittadini italiani che come me si domandano in considerazione di questi obiettivi elementi come mai al “vertice delle istituzioni” e per di più in un simile momento si viva con tale apprensione e solerzia “l’emergenza Sallusti”.