L’Ilva torna ai Riva. Ovvero la Procura di Taranto ha emesso un provvedimento con il quale reimmette l’azienda nel possesso degli impianti sequestrati il 26 luglio per disastro ambientale, così come chiesto ieri dall’azienda in base al decreto legge del 3 dicembre. Il provvedimento è stato firmato al procuratore, Franco Sebastio, dal procuratore aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti procuratori Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani. Gli inquirenti, al contempo, hanno però detto no alla reimmissione in possesso dei prodotti semilavorati sequestrati il 26 novembre sulle banchine del porto, di fatto la produzione degli ultimi quattro mesi. Il motivo è semplice: il decreto legge del governo non ha effetto retroattivo. E’ la stessa procura a spiegarlo: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo – è scritto in una nota – L’attività con la relativa produzione avvenuta prima dell’emanazione del decreto non è soggetta alle regole ivi contenute”. Il parere è stato inviato al gip del Tribunale Patrizia Todisco per la decisione.
La tensione però non si smorza. C’è chi come Maurizio Landini, segretario della Fiom, insiste sull’ipotesi di pseudo-nazionalizzare gli impianti proponendo di “sequestrare se serve i beni della famiglia Riva… Un intervento pubblico, non per forza nel senso classico della partecipazione dello Stato. Non possiamo permetterci di accettare lo scontro tra salute e lavoro e lavarci la coscienza dicendo che deve chiudere. Bisogna risanarla subito e per farlo occorrono 4 miliardi, una cifra che l’Ilva con il suo bilancio non può sostenere, quindi deve intervenire lo Stato”. Intanto però la produzione riprende. Tra ieri sera e oggi diversi impianti stanno ripartendo e con essi tornano in fabbrica gran parte di quei 5 mila operai che l’Ilva aveva mandato a casa in ferie forzate. Solo 800, sempre dell’area a freddo, restano ancora a casa ma in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane stavolta e perché gli impianti cui sono addetti risentono della mancanza di ordini di mercato.
Gli ambientalisti però non mollano e c’è attesa per quello che potrà decidere il giudice per le indagini preliminari che a fine luglio aveva disposto il sequestro degli impianti dell’area a caldo senza facoltà d’uso e ordinando gli arresti fra cui Emilio Riva presidente del gruppo industriale. Poi, da lunedì 26 novembre, col sequestro dei prodotti finiti che stavano per essere spediti (coils e lamiere) e ulteriori ordini di arresto tra cui Fabio Riva. Il decreto del governo, emanato dal presidente della Repubblica, ha di fatto “superato” le decisioni della magistratura prevedendo la ripresa della produzione e la contemporanea bonifica prevista dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero dell’Ambiente lo scorso 26 ottobre.
Venuta meno l’udienza di domani al Tribunale del Riesame, adesso potrebbe essere proprio il gip Patrizia Todisco, che ha firmato i diversi provvedimenti sull’Ilva, a sollevare la questione alla Corte Costituzionale raccogliendo anche i pareri della Procura. Domani al Riesame si sarebbe dovuto discutere dell’istanza dell’Ilva per ottenere il dissequestro dei prodotti finiti bloccati dal 26 novembre, ma dopo il decreto del governo gli avvocati dell’azienda avrebbero ritenuto superato questo passaggio. Una mossa, questa, che da un lato sottrae ai magistrati una sede in cui avanzare obiezioni al decreto – è nell’udienza di domani infatti che i pm avrebbero potuto porre il tema dell’incostituzionalità – ma dall’altro certo non preclude loro la possibilità di farlo ugualmente in altre sedi.